mercoledì 20 gennaio 2016

La grande scommessa

di Adam McKay
con Christian Bale, Brad Pitt, Ryan Gosling, Steve Carrell 
Usa 2016


Riemergo dagli abissi dopo più di un anno, per pigrizia, mancanza di tempo (sia lodato il lavoro, sempre sia lodato) e sonno e lo faccio cercando di recuperare i film in lizza per questi oscar 2016, non fosse altro che per averne un'idea e decretare i miei personali vincitori.

La Grande Scommessa è un gran bel film, uno di quelli  che hanno sostanza, hanno qualcosa da insegnarci e sono dotati di corposità e volume.  Racconta la storia di come alcuni personaggi, in modo diverso, ma poi uguale, siano riusciti a fiutare la crisi immobiliare che da lì a breve avrebbe colpito il mercato e per questo investono capitale, molto capitale, contro l'andamento fiinanziario. E vedendoci giusto, perché di lì a breve, esattamente nel 2008, ci fu un serio crollo immobiliare che portò molta gente a rivendere le proprie case e a perdere così risparmi e investimenti. Da un punto di vista morale tutto ciò è molto triste, ma non è il tema del film.
Il punto cruciale sono queste banche che incuranti, concedono mutui a tasso variabile a tutti quelli che, senza capirci molto, vogliono comprare una casa. Senza badare ad interessi e problemi in caso di perdita. Sistemi finanziari privi di scrupoli e senza coscienza.
In questo contesto, un gruppo di investitori (sì, esiste gente che fa questo mestiere!) intravede l'affare e decide di giocare duro. Un cast eccezionale ed è interessante seguirli nei loro giri d'affari mentre vengono derisi perché in quel momento il mercato tutto sembrava fuorché instabile. Christian Bale ormai una conferma dopo l'altra, è pazzesco nel suo ruolo di investitore/matematico/esauristo visto come un alieno e che invece la vede lunga, ma anche Ryan Gosling, Steve Carrell, Brad Pitt tutti imbruttiti per l'occasione.
Autoironico è quando Selena Gomez o Margot Robbie spiega a noi sempliciotti qualche erudizione economica. Sì, perché nonostante il film abbia una solidità narrativa, il rischio in cui si cade, alle volte, è quello di perdersi in discorsi economici non proprio semplici o alla portata di tutti. Per colpa nostra o semplicemente perché non siamo del mestiere. E allora qualche parte salta, in qualche altra ci si confonde e non si comprende tutto al massimo. Ed è un vero peccato. Nonostante ciò, però, la pellicola funziona, si muove con destrezza, i dialoghi sono importanti e gli attori super. E si capisce che siamo dinanzi ad un bel film, pur non essendoci entrati totalmente.

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giovedì 19 giugno 2014

Galveston, ossia Nik Pizzolatto è un grande.

Titolo: Galveston

Autore: Nic Pizzolatto

PP: 226

Editore: Mondadori (Strade Blu)

Prezzo: Euro 17.50




Può sembrare che mi sia data alla macchia e un po' è così. Sono stati mesi pieni, non solo di positività (che cerco sempre di vedere) ma anche di scazzi, paure e rotture varie. Tra la continua ricerca di lavoro, cambio di casa e altre menate, alle volte perdo stimolo e passione nelle cose. Non per questo però non ho avuto modo di fare scoperte cinematografiche e letterarie importanti. Tipo tipo tipo: TRUE DETECTIVE. Ok, ho scoperto l'acqua calda. Sono mesi che se ne parla nel web e non solo, sulla stupefacente, strabiliante, perfetta serie tv dell'anno. Mi ha tenuta incollata allo schermo (del pc) per tutte le otto puntate e credo a breve di rivederla (coinvolgendo qualcuno assieme a me) perché devo capire ancora a pieno molti passaggi. Ma lo scopo di questo post non è True Detective, ma il suo ideatore e sceneggiatore, Nik Pizzolatto. Mentre mi lasciavo ammaliare dalla serie tv ho sbirciato un po' in giro alla ricerca di notizie sul suo autore, da lì a comprare il suo romanzo d'esordio  scritto qualche anno fa, il passo è stato breve. Galveston è arrivato a casa in un bel pacchetto amazon e sin dalle prime righe mi ha conquistata. Perché Pizzolatto ha quel modo di scrivere che a me piace molto: asciutto, lineare, descrittivo. Come Bunker e McCarthy. Oltre alla forma stilistica, per me fondamentale, una storia architettata perfettamente, ben scritta e strutturata. Avevo letto in giro che Galveston nella parte centrale fosse noioso. Tutt'altro. Ho trovato un libro perfettamente lineare e armonico nella storia, nei contenuti e nei tratti.
Roy Cady è un gangster di New Orleans, al quale hanno diagnosticato un tumore e al quale rimangono pochi mesi di vita. Il boss per il quale lavora vuole farlo fuori perché in passato ha scaldato le lenzuola della sua attuale donna. Ma Cady non è scemo, lo capisce e si ritroverà a fuggire sulla costa del Golfo degli Stati Uniti con una ragazza e la sua sorellina. Direzione Galveston.
I luoghi, come in True Detective in fondo, sono sempre protagonisti indiscussi. Il sud, poi, col suo fascino, la sua cultura, i suoi tempi, modi, le sue religioni e i suoi retaggi ha un fascino che puoi solo sognarlo. I luoghi, come luoghi dell'anima, anche se alle volte certi personaggi sembrano non averne, No, non è il caso di Roy, che pur essendo un duro, si ritrova a proteggere due creature, ma forse lo fa più per se stesso che per altro. Forse perché Rocky in realtà è attraente e con quelle gambe lì potrebbe avere il mondo e lui in fondo la desidera, ma non può pensare di stare con una ragazzina. Quindi c'è dell'etica in lui anche se non si direbbe.
Galveston è una storia nera, un noir che racconta violenza e sangue, paure e fughe. Il viaggio come metafora di ricerca di sé, come evasione da un passato che fa sempre il suo giro e poi ritorna e devi rimetterti in macchina e riprendere il cammino o forse rimani morto stecchito da qualche pallottola. Il viaggio come movimento nella psicologia di Roy, così impaurito dalla morte, ma così vicino da infischiarsene.
Galveston è un viaggio dalle tinte forti, è metafora dell'interiorità attraverso le sue piogge battenti e grigie tipiche del posti del Sud. Roy è un romantico e bastardo, un pazzo e furbo, un duro senza speranza.


Nasci, e quarant'anni dopo esci barcollando da un bar, sbigottito dai tuoi stessi acciacchi. Nessuno ti conosce. Guidi lungo superstrade non illuminate, e ti inventi una destinazione perché il segreto è il movimento. E così ti dirigi verso l'ultima cosa che ti resta da perdere, senza avere davvero idea di cosa ne farai.

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lunedì 10 febbraio 2014

Her

di Spike Jonze
con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Olivia Wilde, Micaela Ramazzotti, Rooney Mara, Amy Adams
Usa
2013




Los Angeles, in un futuro non troppo lontano, Theodore Twombly, un uomo solitario e triste a causa della sua recente separazione dalla moglie, si guadagna da vivere scrivendo lettere “personali” per gli altri. Un giorno acquista un sistema informatico di nuova generazione progettato per soddisfare tutte le esigenze dell’utente. Il nome della voce del sistema operativo è Samantha, che si dimostra sensibile, profonda e divertente. Progettata per ascoltare capire e parlare con l'utente in realtà sembra avere una personalità e un cuore proprio. Il rapporto tra Theodore e Samantha inizierà a svilupparsi con un crescendo che dall'amicizia passerà all'amore, ma i limiti alla fine non sono pochi.

Di primo acchito si potrebbe pensare subito ad un film fantascientifico e gli elementi base ci sono tutti: un uomo e un sistema operativo. Potrebbe sembrare un film che analizza gli aspetti di una società sempre più moderna che si allontana sempre più dal reale e dalla verità dei sentimenti. Potremmo pensare che Spike Jonze voglia analizzare il rapporto tra uomo e scienza, tra realtà e finzione. Ma saremmo lontani dal cuore del film. Her non è solo un film di fantascienza, ma usa queste tematiche per andare oltre. Molto oltre. Her è un film di spessore che analizza l'uomo nella sua interiorità e che riflette intensamente sui rapporti umani, sulle sue difficoltà, i suoi eccessi e sulla quotidianità. E' un film sull'amore, quando si perde, quando ti lascia il vuoto dentro. In una società sempre più viva di stimoli e sempre più libera spesso ci si ritrova soli e impauriti. Theodore (un magnifico Joaquin Phoenix, presente in ogni scena. E' eccezionale, coinvolgente, convincente e intenso.) è un uomo che soffre, non è riuscito con la moglie a crescere insieme, quello che sembrava un grande amore si è sgretolato perché non si è avuti la capacità di evolversi assieme e da un 'noi' non è rimasto altro che un 'io' e un 'tu'. A causa di una solitudine sempre più profonda, Theodore decide di dare voce ad un sistema operativo programmato per ascoltarlo e capirlo. Ecco Samantha (la cui voce non è altro che quella della sensuale e graffiante Scarlett Johansson, in Italia doppiata da Micaela Ramazzotti) con la quale Theodore inizierà un rapporto d'amicizia che pian piano si intensificherà. Samantha è soltanto un sistema operativo, ma la sua voglia di scoprire il mondo o semplicemente di avere un corpo per camminare, per toccare gli oggetti è disarmante. Samantha sembra avere anima e cuore pulsante e Theodore se ne affezionerà. I limiti però sono in agguato, come la voglia di annusarla o di accarezzarla. Di dormirci affianco o di guardarla negli occhi.

Her è un film sulla capacità di ascoltare l'altro, di crescere insieme all'altro mantenendo fresca la propria identità pur camminando insieme. Her è un film sull'amore e sui rapporti umani spesso troppo complicati e deleteri (come anche quello della su amica Amy). Un film delicato ed elegante, girato con maestria e sensibilità, che non cade mai nel cupo o nel melenso. Una storia che partendo dal bagaglio che ognuno porta dietro si sporge al futuro in quella che è la continua ricerca dell'uomo, ieri come oggi: del proprio posto nel mondo e della felicità.


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lunedì 3 febbraio 2014

Dallas Buyers Club

di Jean Marc-Vallée
con Matthew McConaughey, Jennifer Garner, Jared Leto, Steve Zahn
USA
2013

Dallas Buyers Club ossia come ti regge un film un attore (fai due) che ha nerbo e capacità inaspettate.
Matthew McConaughey è Ron Woodroof, un uomo dalla vita fortemente sregolata tra droghe, alcol e sesso occasionale e spinto. Proprio a causa di un rapporto non protetto contrae l'HIV che presto si trasforma in Aids. Ron, convinto omofobo, si ritrova presto da solo ad affrontare il male e, convinto che la cura medica datagli in ospedale sia in realtà una menzogna, si muove egli stesso alla ricerca di cure efficaci e funzionali. Darà così vita ad una vero e proprio gruppo di sostegno contro la malattia e impugnerà causa contro le multinazionali che producono e promuovono l'AZT che in realtà provoca solo una morte certa.
La tematica trattata e la storia nella sua sinossi potrebbe dare l'idea del solito filmetto sui diritti civili che qualche comune cittadino decide di far rispettare andando contro tutto e tutti riuscendo poi a prevalere sull'ordine malvagio delle cose. In un certo senso questo film è anche questo, ma ciò che cambia questo comune modo di girare certi film è la presenza di un attore come Matthew McConaughey che non solo tiene in piedi tutto il film, ma lo inonda di una carica personale potente e di una diversa chiave di lettura. McConaughey (candidato agli Oscar come miglior attore protagonista) è perfetto per la parte, e non perché per esserlo ha dovuto perdere 20 kg, almeno non solo, ma perché sarebbe inefficace se dietro non ci fosse della sostanza come quella di fronte alla quale ci troviamo. Sono certi sguardi persi, certi ghigni tirati, alcune movenze che fanno capire che McConaughey ne ha fatta di strada. Dopo i magnifici Killer Joe e Mud, siamo dinanzi ad un attore che non ha più nulla da dimostrare, anche se credo che il Film che lo consacrerà definitivamente non sia ancora arrivato, ma sono certa arriverà (con Mud per me c'è andato molto vicino). A fargli da spalla c'è Jared Leto (anche lui candidato come miglior attore non protagonista) nella parte di un trans affetto anch'egli da Hiv e nonostante la prima reticenza da parte di Ron, ben presto i due si ritroveranno a lottare insieme. La lotta però non è il tema della pellicola, perché Ron e Rayon non sono i classici paladini con la camicia pulita. Ron è un volgare uomo alcolizzato e fuori di testa, Rayon è un dolce gay completamente drogato. Ecco perché tutta la storia si sviluppa in modo diverso perché non è patinata e mossa da coscienze pulite e impeccabili. Siamo davanti a storie di vita quotidiana, alle volte insane e diverse. Ron però che dapprima si era affacciato al diverso (prima la malattia, poi il rapporto amicale con un omosessuale) con rabbia e diniego, dopo cambia direzione. E nonostante gli avessero pronosticato solo 30 giorni di vita, Ron, grazie forse alla scoperta di un nuovo obiettivo, più intenso e vero di qualsiasi altra cosa nella sua vita fino a quel momento, vivrà per far valere la libertà di scegliere come curarsi. Così attuale.

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giovedì 30 gennaio 2014

Belle & Sebastien

di Nicolas Venier
con Félix Bossuet, Tchéky Karyo, Margaux Chatelier, Dimitri Storoge, Mehdi, Urbain Cancelier
Francia 
2013




Seconda guerra mondiale. Sulle montagne tra i Pirenei vive Sebastien, un dolcissimo bambino, orfano e senza istruzione, insieme al nonno e alla zia. Egli ama girovagare tra le montagne ed è proprio qui che incontrerà un amico speciale, anzi un’amica: Belle. Ritenuta da tutti un mostro che uccide gli altri animali, altri non è che una splendida cagna Patou bianca per nulla pericolosa che in realtà ha subito maltrattamenti dal suo vecchio padrone. Solo Sebastien coglierà la purezza di Belle, ma riuscirà a difenderla dalle minacce degli altri abitanti del suo piccolo paese che vogliono ucciderla?
Belle & Sabastien è la storia di una grande amicizia che non ha bisogno di parole per svilupparsi, ma vive tra mille giochi e sorrisi. Ripresa da una serie televisiva anime francese degli anni ottanta, viene ora modernizzata e riadattata. Storia che sicuramente piacerà ai bambini e a coloro che rimembreranno una giovinezza lontana ricordando la già citata serie tv. 
Sebastien rappresenta la genuinità e purezza fanciullesca di chi vive senza pregiudizi e limiti. Non ha paura del ‘mostro’ che si aggira tra le montagne e appena lo incontra gli basta un’occhiata per capire la verità. Gli adulti dal canto loro, invece, rappresentano la superstizione e come crescendo si perda lo sguardo fresco e sincero sul mondo tipico viceversa dei bambini. Belle non è altro che l’amore che lega l’uomo al proprio cucciolo di cane. Insomma la descrizione di un’amicizia tra un bimbo e un bellissimo cane che va al di là del comunicabile, che si nutre di gesti, perché la vera amicizia non ha bisogno di parole.
E’ in fondo una storia già vista e sentita, di cui non si sentiva il bisogno. Riesce tuttavia a coinvolgere tra i momenti di tensione (alcuni riguardano il passaggio di ebrei verso la Svizzera per sfuggire ai nazisti) e il pathos che suscita l’amore smisurato di questo orfanello che fa di tutto per proteggere Belle. 
Suggestiva la fotografia con immagini mozzafiato dei Pirenei innevati, così belle da sentire quasi freddo al naso.

1,5



mercoledì 8 gennaio 2014

Il Grande Match

di Peter Segal
Con Robert De Niro, Sylvester Stallone, Kim Basinger, Alan Arkin, Jon Bernthal, Kevin Hart, Steffie Grote, Han Soto, Nicole Andrews, Paul Ben-Victor
Usa
2013




Parodia o tributo? E’ questo che ci si chiede sui titoli di coda. In realtà Il Grande Match è una sorta di via di mezzo, un film che prende in giro se stesso pur ricordando le pellicole che hanno fatto la storia della boxe: Rocky o Toro Scatenato. Ed è proprio su questi ultimi due film citati che si ricollega, come l’omaggio ai due attori protagonisti: Sylvestrer Stallone e Robert de Niro e ai personaggi da loro interpretati trent’anni fa.


Henry “Razor” Sharp e Billy “The Kid” McDonnen sono due pugili di Pittsburg. In passato  vissero i l loro momento di gloria grazie a due combattimenti, ognuno dei quali vinto da uno di loro. Mossi da una fortissima rivalità, al momento di tirare le somme con un terzo e ultimo combattimento che avrebbe decretato un solo vincitore, Razor decide di chiudere con la boxe ritirandosi tra lo sgomento di The Kid e la delusione dei fans. Trent’anni dopo si ripresenta l’occasione di quel Gran Match mai disputato ma ora possibile nonostante la poca preparazione fisica e l’età avanzata. E’ il momento di regolare i conti di una vita e di far capire chi è il più forte.


Il Gran Match è una commedia a tratti divertente ma che non decolla mai. Sembra un incoraggiamento verso gli anziani come a voler dire che anche i settantenni possono farcela e il messaggio oltre ad essere leggermente limitativo non si accorda bene con due grandi attori che hanno costruito personaggi indimenticabili della boxe. Sicuramente autoironici e per questo apprezzabili, ma davvero c’era bisogno di un film del genere? Tra i due si insinua anche una donna (Kim Basinger) ed ecco che dalla commedia spunta anche un melò familiare a tutti gli effetti.
Dialoghi poco interessanti, personaggi che scimmiottano se stessi, battute per nulla divertenti, uscite direttamente da un film demenziale. Forse la commedia non era il genere giusto sul quale basarsi per un film di questo tipo. Il sarcasmo dei personaggi verso se stessi è l’unica nota positiva del film quasi una consolazione come a voler dire che anche Rocky e Toro Scatenato invecchiano. Insomma non più giovanissimi, ma con molta voglia di  fare fuori e dentro il set. Molte le scene riprese da Rocky, come gli estenuanti allenamenti di Razor, ma anche le ambientazioni sono un po’ lasciate a caso come durante il combattimento, momento clou di tutto il film, ma reso al minimo con un finale senza vigore e muscoli.

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