domenica 30 gennaio 2011

Yattaman

di Takashi Miike, con Shō Sakurai, Saki Fukuda, Chiaki Takahashi, Giappone, 2009



Ganchan e la sua ragazza Janet sono gli Yattaman, due supereroi che proteggono il mondo dai loro acerrimi nemici: la banda Drombo, composta dalla bellissima Miss Dronio e dai suoi brutti e impacciati seguaci Boyakki e Tonzula. L’occasione per una nuova battaglia si presenta quando la giovane Shoko chiede aiuto agli Yattaman per ritrovare il padre scomparso in Ogitto mentre cercava i quattro frammenti della potente pietra Dokrostone. Questi quattro frammenti, se si ricomporranno, potrebbero portare alla distruzione del mondo intero.
Yattaman – il film è firmato da Takashi Miike, famoso per il suo cinema horror, violento e fortemente splatter, ma non solo, che stavolta si dedica ad una pellicola per l’infanzia. Infatti Yattaman è ispirato all’omonima serie animata degli anni Settanta e ne riproduce fedelmente la trama. Oltre all’intreccio, uguali sono i personaggi, il loro modo di vestire, le loro espressioni e per chi conosce la serie animati non saranno una novità. Mettere in pellicola un cartone non è mai facile, però il regista ci riesce perfettamente e per gli amanti del genere questo è un film assolutamente imperdibile. Ma anche per coloro che non conoscono il genere o il famoso cartone animato, il film risulta comunque gradevole e particolare. Coinvolgente l’atmosfera, tipica degli anime giapponesi, che si lascia ammirare per tutta la durata del film, amabili i personaggi che sembrano le caricature di se stessi che con le loro battute sagaci e i puntuali sbagli finiscono sempre nei guai. Una storia che racconta la lotta eterna tra il Bene e il Male, che mette in evidenza i buoni e i cattivi, ma con i cattivi che poi sono dei gran simpaticoni e sono sicuramente le macchiette di tutta la pellicola. L’happy ending regala la speranza che sia sempre il Bene a trionfare, che esistano i supereroi pronti ad aiutare il prossimo e che i cattivi sono costretti a ritirarsi perché inadatti alla vita da duri.

3/5

Pubblicata su cinema4stelle

sabato 29 gennaio 2011

Animals United 3D


di Reinhard Klooss, Holger Tappe, Germania, 2010
Nel Delta dell’Okavango, Billy, una mangusta simpatica e decisamente maldestra, decide col suo amico Socrate, un leone saggio e dolce, di andare a ‘trovare’ l’acqua. Infatti la piena annuale non c’è stata e i due amici vogliono capirne il perché. Durante il viaggio si uniranno a loro un gruppo di improbabili animali diversi per specie e geografia, che hanno perso casa e vogliono sopravvivere da qualche parte.
Ci sono Winstor e Giorgina, due vecchissime tartarughe innamorate da secoli, l’orso polare Sushi, che in seguito allo scioglimento dei ghiacciai si trova in Africa, la giraffa Gisella, vanitosa e brontolona, un galletto francese Charles, affascinante e spiritoso e poi rinoceronti e bufali. I nostri simpatici amici scopriranno che dietro la mancanza di acqua c’è il brutale uomo che uccide e sfrutta la natura per i propri interessi. Infatti gli uomini hanno costruito una diga per dar vita ad un lussuoso Hotel. 
Il tema centrale, dunque, è l’inciviltà dell’uomo dinanzi alla natura, noncurante di ciò che lo circonda e sempre pronto ad inquinare e uccidere l’ecosistema. Lo si capisce dalla storia di Sushi, costretta ad andare via per lo scioglimento dei ghiacciai, dalle due tartarughe, obbligate ad abbandonare il loro habitat per l’inquinamento marino. Lo si vede dalle immagini di fabbriche che emettono fumi e gas inquinanti o dal motociclista che butta lattine usate a terra. Gli esseri umani hanno rubato e ucciso ogni cosa, laddove sbocciavano i fiori ora la terra è arida, nel mare, nel quale prima vivevano varie specie di pesci, ora vi è una massa nera scura ed oleosa. Perché l’uomo è un ladro che porta via dalla terra ciò che vuole, ma la terra non appartiene all’uomo, egli è solo una minuscola parte di essa. “Quello che l’uomo non comprende è che ciò che infligge alla terra alla fine lo infligge a se stesso”, dice Giorgina, la più sapiente di tutti. Tratto dal libro di Erich Kastner ‘La conferenza degli animali’, un testo di impronta pacifista, il film è un invito che gli animali fanno all’uomo affinché ci sia maggiore rispetto e una più profonda cultura ecologica. E la scena finale ne è un mirabile presagio. 
Un film, dunque, per i piccoli e non solo, perché soprattutto gli adulti devono imparare a rispettare la natura per poi trasmettere questo ideale ai più piccoli, che sono sempre più sensibili. Come la figlia del proprietario dell’Hotel dimostra, perché, nonostante sia un bambina, lotterà affinché gli animali abbiano l’acqua. Il film risente dei veri modelli di riferimento, guardandolo si ricordano subito L’era Glaciale, Madagascar, tuttavia il film riesce ad arrivare dritto al cuore ed acquisisce una propria autonomia. Un messaggio importante, quello del cartone, che invita tutti noi ad una riflessione necessaria ed urgente nei confronti di una situazione sempre più grave ed attuale.

                 


3/5


Frase cult "Che saranno 100 tonnellate di muscoli paragonate ad un pizzico di charme?"


Pubblicata su Cinema4stelle

sabato 22 gennaio 2011

Un giorno della vita


di Giuseppe Papasso, con Maria Grazia Cucinotta, Alessandro Haber, Pascal Zullino, Italia, 2010

Basilicata, 1964. Salvatore, un ragazzino di 12 anni, ama il cinema sopra ogni cosa. Ogni giorno percorre 5 km, insieme ad Alessio, figlio di un benestante del paese e Caterina, figlia di una donna disprezzata per la sua condotta “scandalosa”, per recarsi al cinema più vicino per assistere alle prime proiezioni  che si tengono in zona. Passione, però, contrastata dal padre, un severo e convinto comunista che impone la lettura di Marx ed Engels al figlio. Un uomo rigido, poco dedito all’ascolto e alle esigenze della famiglia, quanto, invece, molto legato al partito ed alla sua opera. Salvatore, pur di realizzare il suo sogno, decide di acquistare un proiettore di 16mm rubando i soldi del partito, destinati al viaggio a Roma per prendere parte ai funerali di Togliatti. Sono anni importanti questi. Anni in cui la politica vive nella sua totalità e pienezza, come un qualcosa di puro e sincero. Anche in un piccolo paese, come quello in cui è ambientato il film, non mancano i sostenitori comunisti, che dedicano quotidianamente del tempo al partito e a tutto ciò che vi ruota. Quando muore Togliatti è un momento significativo, di dolore, di riflessione.
Giuseppe Papasso, nella sua opera prima, confezione un film non banale, ma che tuttavia, risulta per certi aspetti, incompleto. Molti sono i temi che emergono: l’amore per il cinema, in primis, protagonista assoluto di questa pellicola. Il cinema come momento di cambiamento: le prime proiezioni ‘scandalose’ de La dolce vita o i film di Charlie Chaplin. L’entusiasmo dei più giovani, la diffidenza degli anziani. Nascono le prime sale cinematografiche parrocchiali e per assistervi è necessario il tesserino dell’Azione Cattolica, cosa che desta odio da parte dei comunisti. Tutte tematiche tipiche di quegli anni, in cui la politica entrava in ogni dove. Salvatore, quando verrà scoperto, sarà costretto dal papà ad andare in riformatorio. Tutto questo per dimostrare onestà al partito e inflessibilità educativa. E’ un’Italia che cambia, in cui l’ammodernamento sta invadendo anche il Sud, sempre più indietro e più chiuso. Il cinema, dunque, come momento rivoluzionario, di aggregazione e di conoscenza, ma che viene criticato e condannato propria da chi professava una trasformazione sociale. Come il papà di Salvatore, per il quale, sul finire, il cinema rappresenta anche catarsi e riconciliazione con un figlio reietto.
E poi c’è il tema più sottile della figura della donna in quegli anni. La madre di Salvatore (una brava e bella Maria Grazia Cucinotta), di certo più protettiva e comprensiva, è destinata solo ad occuparsi della casa e della famiglia. Mai che esprima un’opinione e se lo fa non viene presa in considerazione. Oppure come in famiglia si consideri maggiormente Salvatore rispetto alle sue due sorelle, che sembrano delle semplici comparse. O ancora la madre di Caterina, che intrattiene una relazione segreta con un giovane e per questo viene additata e criticata.
La pellicola risente, forse eccessivamente, dell’influenza di Truffaut e del suo ‘I 400 colpi’ e delle atmosfere de ‘Io non ho paura’ di Salvatores, registi ai quali Papasso ha dichiarato di essersi ispirato. La qualità recitativa degli attori protagonisti non è del tutto convincente, ma hanno dalla loro la giovane età.
La storia del sogno di un ragazzino che dovrà, però, fare i conti con l’incapacità degli adulti. Perché capire e perdonare sono passi difficili. Nel 1964, come oggi.

3/5

Pubblicata su: Cinema4stelle

mercoledì 19 gennaio 2011

Black Swan

di Darren Aronofsky, con Natalie Portman, Vincent Cassel, Mila Kunis, Winona Rider, Usa, 2010


Ho appena finito di vedere Black Swan. Sono completamente estasiata. Un film eccezionale che m'ha catturato l'anima. C'ho letto dentro tutta la tematica del doppio di dostoevskiana memoria. Il regista riesce a scavare l'anima, a scandagliare soprattutto le ombre e le complessità che ognuno di noi ha dentro. Un insospettabile cigno che cela dentro di sé il buio. Il gioco dialettico della pellicola è ciò che mi ha coinvolto maggiormente. Se il tema è quello del doppio, nel film tutto è dicotomico: realtà e fantasia, luce e buio, bianco e nero, libertà e ossessioni, sorrisi e pianti, vita e morte, certezze e paure. Tutto si nutre di contrasto, la vita stessa entra in contraddizione. La materia e lo spirito si fondono in un corpo solo. La musica è l'accompagnamento perfetto per quella che è la metamorfosi di un'anima, di Nina, che vive una lotta tra il suo io puro e candido e un altro io, geloso e oscuro. Un film poco didascalico, aspetto per me certamente positivo, che consente un'analisi soggettiva allo spettatore. Come il rapporto con la madre, poco analizzato verbalmente, ma bastano poche scene per capirne la complessità e le manipolazioni di un rapporto sbagliato. Il gioco di specchi, di ombre e luce (anche quando è sull'autobus si specchia e si scorge 'il sosia') è un momento filosofico-psicologico alto. Natalie Portman da Oscar, meravigliosa e convincente. Bravissima nel suo sdoppiamento, sublime nel cadere e rialzarsi dall'abisso. Si aprono, davanti a noi, due possibilità: o ritrovare l'ultima unione o andare incontro alla catastrofe. Quando la parte peggiore di un uomo viene fuori, si è persone sdoppiate, inizia la coesistenza di due principi inconciliabili. Uomo-Dio. Ogni figura tragica è abilitata dal ridicolo. E qui si apre il tema religioso. E si può parlare di filosofia russa, di Kakfa, di Freud e non solo. Insomma da vedere. E rivedere.

5/5

"Il nostro eroe gettò un grido e si afferrò il capo. Ahimè! Già da un pezzo aveva questo presentimento." (Finale de Il sosia di Fedor Dostoevskij)







lunedì 10 gennaio 2011

Che bella giornata

di Gennari Nunziante, con Checco Zalone, Nabiha Akkari, Rocco Papaleo, Tullio Solenghi, Italia, 2011

Checco sogna di fare il carabiniere, ma fallisce miseramente. Grazie alla raccomandazione di un suo zio presso il vescovo di Milano, ottiene il lavoro come responsabile di security del Duomo. Qui, per caso, incontra Farah, una bellissima ragazza araba che finge interesse per Checco, ma col solo scopo di realizzare, insieme ad un gruppo, un atto terroristico proprio al Duomo per rivendicare l’uccisione della sua famiglia, morta in un agguato. Farah però rimarrà, inaspettatamente, travolta dall’ingenuità e dall’irriverenza di Checco e con lui dell’intera famiglia chiassosa e compagnona.
Checco Zalone alla sua seconda prova cinematografica, continua a confezionare successi, grazie, forse, alla sua abilità comica e stilistica formatasi negli anni come cabarettista. Non si è lontani da Cado dalle nubi, di simile vi è l’intreccio narrativo e il tipo di umorismo. Se nel primo film ad essere analizzate erano la omosessualità, il tema politico e il contrasto Nord-Sud, in Che bella giornata analizzato è l’incontro di due mondi, quindi il terrore che ciò possa procurare. 
Checco rappresenta “l’italiano medio” un po’ ridicolo e un po’ arruffone, privo di qualsiasi forma di malizia e cattiveria, inserito perfettamente in un sistema, tipico italiano, dove vigono, per esempio, protezioni che rendono inutile studiare. Il tutto come metafora della nostra società e attraverso il film ne vengono messi in evidenza tutti i mali. E’ il tipo genuino e vivace che, nell’immaginario collettivo, è un po’ l’uomo del Sud. Checco, pugliese, ama Farah, “francese di madre bina” (come il comico canta) senza nessuna distinzione né di razza, né religiosa perché “l’amore non ha religione”. Ecco allora la forza espressiva della pellicola, la quale mette in risalto la tolleranza e la generosità di un gruppo di persone che non ha problemi ad invitare a cena un altro gruppo, senza farsi bloccare dal fatto che siano arabi. Quindi se da un lato spicca l’ignoranza, la grettezza e l’invadenza di Checco e della sua numerosa famiglia, dall’altra è celato un messaggio di tolleranza e condivisione, che solo il Nostro potrà attuare con la sua genuina umanità.  

2/5
 Frase cult "Tu studi? Non serve a un cazzo qui" (in Italia)

Pubblicato su www.cinema4stelle.it

Commento extra
Io odio Checco Zalone. Non posso farci nulla, è più forte di me. Già non m'era piaciuto nel primo film, ma anche qui riconferma il mio astio. Per me la sua non è simpatia. Simpatico è il mitico Antonio Albanese in Cetto La Qualunque, ma non Zalone. Fa troppo lo stupido per essere credibile, fa troppo l'ignorante per risultare vero. La comicità è un'arte e in quanto tale deve suscitare "qualcosa come un'anestesia momentanea del cuore": insomma empatia e a me non la suscita. Le movenze, le cadenze, le battute non sempre di spirito lo rendono un comico di basso livello. Per questo non riesco a capirne l'enorme successo. Sul palco di Zelig mi poteva anche andare bene, ma non in uno, ma ben due film no!!! Ok, nei film ci sono metafore sulla nostra società e blablabla, ma non discuto ciò, quanto lui come attore e comico. 
Il riso è un'importante virtù sociale, pronta ad esorcizzare nostre paure e tensioni. C'è molto di più di una semplice battuta. 

"Il riso cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre persone che ridono, reali o immaginarie che siano" Henry Bergson (Il riso. Saggio sul significato del comico -1900)
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