sabato 22 gennaio 2011

Un giorno della vita


di Giuseppe Papasso, con Maria Grazia Cucinotta, Alessandro Haber, Pascal Zullino, Italia, 2010

Basilicata, 1964. Salvatore, un ragazzino di 12 anni, ama il cinema sopra ogni cosa. Ogni giorno percorre 5 km, insieme ad Alessio, figlio di un benestante del paese e Caterina, figlia di una donna disprezzata per la sua condotta “scandalosa”, per recarsi al cinema più vicino per assistere alle prime proiezioni  che si tengono in zona. Passione, però, contrastata dal padre, un severo e convinto comunista che impone la lettura di Marx ed Engels al figlio. Un uomo rigido, poco dedito all’ascolto e alle esigenze della famiglia, quanto, invece, molto legato al partito ed alla sua opera. Salvatore, pur di realizzare il suo sogno, decide di acquistare un proiettore di 16mm rubando i soldi del partito, destinati al viaggio a Roma per prendere parte ai funerali di Togliatti. Sono anni importanti questi. Anni in cui la politica vive nella sua totalità e pienezza, come un qualcosa di puro e sincero. Anche in un piccolo paese, come quello in cui è ambientato il film, non mancano i sostenitori comunisti, che dedicano quotidianamente del tempo al partito e a tutto ciò che vi ruota. Quando muore Togliatti è un momento significativo, di dolore, di riflessione.
Giuseppe Papasso, nella sua opera prima, confezione un film non banale, ma che tuttavia, risulta per certi aspetti, incompleto. Molti sono i temi che emergono: l’amore per il cinema, in primis, protagonista assoluto di questa pellicola. Il cinema come momento di cambiamento: le prime proiezioni ‘scandalose’ de La dolce vita o i film di Charlie Chaplin. L’entusiasmo dei più giovani, la diffidenza degli anziani. Nascono le prime sale cinematografiche parrocchiali e per assistervi è necessario il tesserino dell’Azione Cattolica, cosa che desta odio da parte dei comunisti. Tutte tematiche tipiche di quegli anni, in cui la politica entrava in ogni dove. Salvatore, quando verrà scoperto, sarà costretto dal papà ad andare in riformatorio. Tutto questo per dimostrare onestà al partito e inflessibilità educativa. E’ un’Italia che cambia, in cui l’ammodernamento sta invadendo anche il Sud, sempre più indietro e più chiuso. Il cinema, dunque, come momento rivoluzionario, di aggregazione e di conoscenza, ma che viene criticato e condannato propria da chi professava una trasformazione sociale. Come il papà di Salvatore, per il quale, sul finire, il cinema rappresenta anche catarsi e riconciliazione con un figlio reietto.
E poi c’è il tema più sottile della figura della donna in quegli anni. La madre di Salvatore (una brava e bella Maria Grazia Cucinotta), di certo più protettiva e comprensiva, è destinata solo ad occuparsi della casa e della famiglia. Mai che esprima un’opinione e se lo fa non viene presa in considerazione. Oppure come in famiglia si consideri maggiormente Salvatore rispetto alle sue due sorelle, che sembrano delle semplici comparse. O ancora la madre di Caterina, che intrattiene una relazione segreta con un giovane e per questo viene additata e criticata.
La pellicola risente, forse eccessivamente, dell’influenza di Truffaut e del suo ‘I 400 colpi’ e delle atmosfere de ‘Io non ho paura’ di Salvatores, registi ai quali Papasso ha dichiarato di essersi ispirato. La qualità recitativa degli attori protagonisti non è del tutto convincente, ma hanno dalla loro la giovane età.
La storia del sogno di un ragazzino che dovrà, però, fare i conti con l’incapacità degli adulti. Perché capire e perdonare sono passi difficili. Nel 1964, come oggi.

3/5

Pubblicata su: Cinema4stelle

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