mercoledì 19 ottobre 2011

Melancholia

di Lars von Trier
con Charlotte Gainsbourg, Kiefer Sutherland, Kirsten Dunst, Charlotte Rampling, Udo Kier, Stellan Skarsgård, Alexander Skarsgård, John Hurt, Brady Corbet
Danimarca, Francia
2011


Melancholia è un film esagerato. Esagerato perché alla fine ti assale un senso di spossatezza e tristezza. Esagerato perché sui titoli di coda ti senti disorientato e pieno di un film che senti ti dice qualcosa, ma non sai darne parole. E' un senso di iniziale intontimento ed incomprensione che fa luce piano piano. E' un film che mescola all'interno tante tematiche, alcune paiono restare in superficie, altre sono trattate più profondamente. Parla per immagini che sono di una imponenza e magnificenza poetica e artistica uniche. E solo attraverso le immagini che si cerca di venire a capo della vicenda laddove la vicenda non conta. E' alla fine che si farà tutto chiaro.
La piccolezza e la finitezza umana rispetto all'indicibile infinitezza della Natura, dei suoi enigmi e delle sue eterne bellezze. Una natura benigna perché da la vita, alla quale è necessario, alcune volte, fermarsi e brindare anche se la morte è dietro casa. Una natura anche maligna che gioca con la mente dell'uomo, inducendolo alla follia, e che si fa beffa delle nostre paure e dei nostri insignificanti problemi umani. L'uomo è un nano, un triste verme, che ha paura, che scappa, che decide di morire. La fragilità umana rispetto alla magnificenza di una natura divina (è forse Dio?). Dio in tutte le cose, quindi nella natura e nell'universo stesso: un panteismo spinoziano laddove dire Dio e dire Natura è la stessa cosa. E se la componente divina non c'è rimane un film sull'uomo, sulla Natura, su un bambino che rappresenta la magia. Due donne, un destino, la paura. Lars von Trier, misogino e inquieto, rappresenta queste due esistenze, una fortemente instabile che spesso non riesce neanche a camminare (a riguardo di ciò nel prologo c'è la strana immagine di lei con le radici ai piedi che le impediscono un passo normale e che la tengono salda alla Terra), si muove a fatica a mostrare un male interno ed inspiegabile di vivere. L'altra più energica, più forte, anche perché mamma, cerca di mettere ordine in tutto questo turbinio, ma anche lei è assalita da Melanchonia, un pianeta che minaccia la terra e che si fa sempre più vicino, per il quale si teme l'apocalisse mettendo in discussione tutta l'umanità sulla terra.
La musica, altra componente basica è essenziale. Forte ed irrompente è metafora dell'anima umana.
Un regista controverso e strano, che tuttavia ha raggiunto una maturità stilistica e tematica importante.
Lo dimostra con questo ultimo film, perché alla fine ti invade un senso di malinconia.

4,5/5

Una intensissima Kirsten Dunst








giovedì 13 ottobre 2011

Cassidy - L'ultimo Blues


Col numero 18 si è conclusa la miniserie targata Bonelli: Cassidy. Il mio giudizio è estremamente positivo perché è stato un viaggio interessante ed avvincente. Scritto benissimo (testi di pasquale Ruju, amato anche per l'altra sua miniserie Demian, ma conosciuto soprattutto per Tex, Dylan Dog e altri), disegnato con maestria, caratterizzato da un racconto veramente particolare. Raymond Cassidy è un noto fuorilegge, coraggioso, altruista, che per vari casi del destino si ritrova a dover fuggire dalla propria vita e a cercare riparo in ogni dove. Sempre elegante, temerario, fiero, con la sua Colt 45 non risparmierà gli arroganti, i prepotenti e coloro che lo ostacoleranno lungo il suo cammino. Un cavaliere senza vergogna, ma con un forte senso dell'onore. Il contorno è ciò che più affascina: siamo nell'America degli anni 70 (precisamente la storia inizia nella notte del 16 agosto 1977, giorno in cui muore Elvis Presley) con il suo ritmo e il suo blues. Raymond si muove con la sua Dodge Aspen nera, crivellata di colpi di pistola, sulla Route 66 al confine tra Arizona e California. Durante una minacciosa notte Cassidy incontra un cieco di colore che suona musica blues, il quale rivela che gli restano 18 mesi per mettere le cose apposto, per redimersi. Verranno fuori tutti gli aspetti del suo passato e tutte le sue ombre e dovrà fare i conti con esse. Finale prevedibile, perché più volte annunciato, ma non privo di quelle emozioni che ti tengono col fiato sospeso. 
Mi sembra ancora di sentire When The Saints Go Marching In...





domenica 2 ottobre 2011

Drive

di Nicolas Winding Refn
con Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks
Usa 2011

Drive è un film sorprendente. Ottima storia, nella quale vari generi si mescolano. Quello predominante potrebbe essere un noir, ma dentro vi è molto altro. Dietro efficaci inquadrature, dietro silenzi emotivamente carichi, dietro pochi dialoghi si nasconde una forza narrativa che stupisce. La storia è quella di Driver (un affascinante e convincente Ryan Gosling), autista di Los Angeles, che durante il giorno lavora come stuntman per il cinema, ma di notte guida auto per mettere in salvo rapinatori. Un uomo solo, tendenzialmente solitario, di poche parole, praticamente insondabile, ma comunque un uomo che si innamora, di Irene (Carey Mulligan), la sua dolce vicina. Irene ha un figlio e Driver si affezionerà al bimbo più di ogni cosa.  Un amore semplice, puro e pulito, senza troppe smancerie, ma anzi un amore 'non detto', mai dichiarato e mai convenzionale. Driver aiuterà il marito di Irene, da poco uscito di galera, a risolvere una situazione, che cambierà la vita di tutti. 
In Driver è contenuta tutta la filosofia dell'uomo solo dalla doppia vita, dalla doppia personalità, ma che culminerà nell'unico scopo di salvare Irene e il suo figliolo. Drive è un cavaliere oscuro, che si nasconde dietro le maschere di stuntman, nella notte, per portare giustizia. Glaciale, silenzioso, tenebroso e temerario, ma pronto ad aprirsi all'altro e a comunicare anche solo con uno sguardo.
Inquadrature perfette, tempi narrativi dilatati che diventano pura poesia attraverso immagini che sono più significative di mille parole. Musiche appropriate, che a volte fanno da contrasto a scene violenti e a stati d'animo alterni. Refn confeziona un'ottima pellicola. Un autore da tenere d'occhio, che già con Bronson aveva dimostrato di utilizzare un registro narrativo personalissimo e degno di nota.


4,5/5


“Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto dopo sei da solo. Io guido e basta!”
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