martedì 11 dicembre 2012

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

di Wes Anderson
con  Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Frances McDormand, Tilda Swinton
USA, 2012



Certi registi hanno la capacità di fare amare il cinema anche a chi il cinema non interessa e anche solo da un trailer. Se mi chiedessero di descrivere Wes Anderson, direi questo. Perché è colorato, vintage e usa musica da Dio. Sono sempre stata convinta che quando si legge o si guarda qualcosa, ci siano sempre due (o più) livelli interpretativi. Ecco, con Anderson bisogna andare sempre oltre un gesto, un’immagine, una fotografia. E’ che lui sta cercando di dirti altro e tu devi capirlo. Prendiamo Il treno per il Darjeeling (per me il suo Capolavoro): il viaggio come ricerca di se stessi e delle proprie radici attraverso luoghi, persone, odori nuovi e undici valigie come metafora dei pesi che quotidianamente ci portiamo dietro. E il cortometraggio Hotel Chevalier? Un inno amoroso.
Il suo ultimo film è un altro pezzo miliare del genere: Moonrise Kingdom è pura poesia. Una fuga d’amore di due dodicenni soli, un po’ tristi e tanto decisi. Lei è una Margot Tenenbaum (I Tenenbaum altro film meraviglioso) in miniatura, Suzy e lui, Sam, un orfano ingegnoso e romantico. Come sempre i personaggi sono tutti macchiette in presa agli spasimi del vivere quotidiano, con i loro conflitti e i loro tormenti. 
Moonrise Kingdom è una storia sulla vita, sulla paura e il timore di vivere, sui rapporti complicati che abbiamo intorno a noi. Suzy vive in una casa dorata, una casa delle bambole e guarda il mondo attraverso un binocolo perché “così le cose appaiono più vicine”, odia i genitori, anche loro con una storia strana da gestire, entrambi avvocati e piuttosto presi da se stessi, e non ha amici. Decide di scappare con Sam, un boyscout intelligente che vive la condizione di orfano in modo dignitoso e che sceglie Suzy come il più romantico degli uomini. Una fuga che è metafora della ricerca di un proprio posto nel mondo. Scappare per ritrovarsi, conoscersi per amarsi. E il regista descrive tutto ciò attraverso lo sguardo semplice, ma mai banale, dei bambini, senza malizia e senza sporcare le immagini. Tutto è reso magico da quel modo elegante e particolare di narrare tipico di Wes. Da quell’unione di oggetti che creano un’immagine perfetta. Da quel modo semplice di fare del protagonista che diventa subito storia, come Sam che dipinge o Suzy che legge. 
La fotografia è mozzafiato, i dialoghi brillanti e la musica sempre in grande stile. 

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mercoledì 17 ottobre 2012

On the road

di Walter Salles
con Sam Riley, Garrett Hedlund, Kristen Stewart, Kirsten Dunst, Viggo Mortensen, Amy Adams
Usa 
2012



Portare sul grande schermo libri che hanno segnato un’epoca è cosa difficile e complessa. Se poi il libro in questione è On the road, uscito nel 1957 e mai adattato per il cinema, che ha caratterizzato un periodo storico denso di novità e cambiamenti, non solo a livello letterario, ma anche di vita e costumi, politica e società, la questione si complica. 
Stati Uniti, seconda metà degli anni cinquanta. Il film, che riprende pedissequamente il libro, si articola in cinque parti che comprendono i viaggi che Sal Paradise, un aspirante scrittore di New York inizia a fare con Dean Moriarty, un giovane estroverso, spregiudicato e totalmente libertino insieme alla sua giovane e seducente moglie Marylou. Un lungo viaggio nell’America del dopoguerra che porterà i due amici a fare della strada la loro casa tra musica, donne, alcool e droghe. Un viaggio di riscoperta di sé grazie a conoscenze occasionali e sbronze colossali. I due sono l’immagine della negazione di tutti i protocolli sociali che una nazione come l’America, nel periodo del boom economico, porterebbe a seguire. Sono la manifestazione della ricerca della libertà contro ogni regola o aspettativa vivendo di espedienti e occasioni rubate. Insieme a loro Marylou, giovane disinibita e fortemente seducente che percorrerà con loro il lungo viaggio. E se lei da una parte rappresenta la parte di Dean più eccessiva e anticonformista, dall’altra ci sarà Camille, la seconda moglie di Dean, più borghese e con una vita che segue gli standard che ogni società, volenti o nolenti, impone. Cercare di descrivere un periodo come quello della beat generation che racchiude tante sensazioni ed emozioni in un film di due ore non è facile. Il film di Walter Salles non arriva a pieno a descrivere queste emozioni, quelle che hanno caratterizzato anni particolari e pieni di aspettative: siano esse politiche, che economiche, religiose e di vita. Fa un eccessivo abuso della libertà sessuale di quei tempi, mettendo in scena molto sesso che seppur serve per descrivere anche questa trasformazione nei costumi estetici e sessuali, rischia di cadere nell’edonismo più sfrenato. Mettere in chiaro i cambiamenti sessuali, o anche l’eccessivo uso di droghe, è necessario, ma non basta. Occorreva forse concentrarsi più sull’intimità dei viaggiatori, sulle loro idee, le loro stravaganze e i loro vuoti esistenziali, insomma tutte quelle sfumature che portano a percorrere un viaggio sia fisico che mentale. Come Jack Kerouac descrive così perfettamente.  Tuttavia il film è esteticamente bene riuscito e comunque rispetta le attese riposte. Rimane una pellicola intensa e ben recitata da attori calati onestamente nei personaggi. Seguendo alla lettera gli accadimenti del libro, i lettori non vi rimarranno delusi.

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Pubblicato su: Cinema4stelle

mercoledì 26 settembre 2012

The Five Years Engagement


di Nicholas Stoller
con Jason Segel, Emily Blunt, Alison Brie, Chris Pratt, Rhys Ifans
Usa 2012


Dopo un anno di fidanzamento Tom e Violet decidono di sposarsi. I due dolci innamorati infatti vivono un sentimento unico, genuino e fresco e le nozze sembrano il giusto prosieguo della loro vita insieme. Tuttavia varie circostanze portano la coppia a dover far slittare sempre più la data delle nozze, tanto che passano cinque anni di fidanzamento, come il titolo stesso suggerisce.
The Five Years Engagement è una commedia semplice e carina da gustare per la sua naturalezza e simpatia. Emily Blunt e Jason Segel (il dolce Marshall di How met your mother) sono belli da vedere e rendono il quadretto credibile ed efficace. Anche i personaggi che fanno da contorno, come l’amico Alex, la sorella di lei Suzie o gli stessi nonni e genitori, sono macchiette divertenti e ben inserite nel contesto filmico. 
L’analisi che se ne vuole fare è di come una storia d’amore solida e apparentemente inossidabile possa essere influenzata da fattori esterni e portare a dubbi e rotture: un lavoro, un trasferimento, un figlio, la morte di parenti e le diversità di obiettivi. I cambiamenti sono sempre spaventosi e per quanto si ami una persona, alle volte possono essere insormontabili. Tom ci prova, vuole che la sua compagna realizzi i propri sogni a scapito dei propri, fino a quando non riuscirà più a gestire se stesso. E allora occorre fare una scelta. E ci si allontana, ci si perde per poi ritrovarsi ancora o finire per sempre. Spesso però l’amore è più forte e tutte le difficoltà diventano nulle dinanzi alla voglia di stare insieme. Tom è dolce e premuroso, Violet è determinata ed innamorata. Impossibile non stare insieme.  
Insomma, The Five Years Engagement è una delicata e divertente commedia da gustare nella sua spensieratezza senza troppe pretese o analisi profonde.

2,5/5

lunedì 10 settembre 2012

Stark




L'amore per Edward Bunker è scoppiato d'improvviso come quelle voglie incolmabili e insopportabili. Cercavo da tempo uno scrittore così particolare, crudo, vero, asciutto e intenso. Eddie Bunker è questo e molto altro. Noir? Thriller? Hard boiled? Sì, ma non solo. Per me rientra in quella cerchia di autori che pur perseguendo un genere, ne da vita ad uno nuovo. Semplificando lo si colloca nel crime e noir, il che è assolutamente vero, ma Bunker è unico e perfetto. Le sue narrazioni sono avvincenti, violente e cariche di una tensione che ti pervade l'animo. Non è pura narrazione, ma egli opera sempre un lavoro di riflessione e di esame della realtà che ne fa un filosofo esistenziale a tutti gli effetti. Una vita particolare la sua, passata tra galere e rapine, fino a scoprire di essere uno scrittore. E lo fa con eleganza e naturalezza senza cercare la gloria. E lo senti che non scrive per compiacere qualcuno o per arrivare a qualcosa, ma lo fa per se stesso, quasi come se volesse redimersi da una vita che ha scelto e che dalla quale non può però allontanarsi. Perché ritorna come una bestia feroce. Perché se sei nato bestia non puoi morire santo.
Stark è il suo primo libro scritto, ma pubblicato postumo. E' un testo che contiene in embrione ciò che saranno i suoi capolavori Come una bestia feroce e Cane mangia cane. E' un testo quasi di allenamento alla scrittura, si respirano tutti gli ambienti e le tematiche che poi affronterà successivamente, ma c'è già tutto il Bunker che ameremo dopo.
Scrive da Dio, scrive con rabbia ed energia, scrive come uno che sa quello che vive, senza fronzoli o sfumature ovattate di una Los Angeles che non gli appartiene.
Persecutore della verità, quella più visceralmente vera e imprescindibile, quella che ti fa essere ciò che sei anche se vorresti altro per te. "Noi siamo come abbiamo imparato a essere sotto l'influsso di tante cose. Né più né meno. Ricordatelo perché questo ti insegnerà a essere umile anziché un moralista arrogante".
I suoi sono scritti che parlano di esistenze vane, sprecate, buttate nelle fogne della periferia, fatta di droga, prostituzione, bordelli, pistole, sangue e violenza. Non c'è tempo per i rimpianti o le illusioni. Non c'è tempo per l'amore e l'inganno è il sale per la sopravvivenza. Stark è un malato figlio di puttana (come tanti altri personaggi che animano altri suoi libri) al quale poi ti affezioni perché un po' ti ci ritrovi, a lottare contro l'impossibile, a dannarti per un'esistenza che non doveva andare così. E poi ha classe, eleganza, un ottimo spirito di sopravvivenza e un buon intuito.
Stark è diverso, è in piccolo ciò che Come una bestia feroce è in grande (per me il migliore in assoluto). Ma è sufficiente per amarlo e divorarlo in un attimo.


"L'ora era quella della quiete che precede l'alba, il periodo mortale in cui sembra che in città non giri anima viva, in cui i fari di una macchina aumentano il senso di solitudine invece di alleviarlo. Era l'ora in cui a girare sono soprattutto i fuorilegge o i tutori della legge. Era l'ora della notte che Stark preferiva". Stark, Eddie Bunker

lunedì 9 luglio 2012

Quell'idiota di nostro fratello

di Jesse Peretz
con Paul Rudd, Elizabeth Banks, Zooey Deschanel, Emily Mortimer, Steve Coogan, Nick Sullivan, Francesca Papalia, Bob Stephenson
Usa 2011



Ned Rochlin è un giovane hippie privo di malizia e superbia che vive in un mondo caratterizzato da finzione e falsità. Dopo aver passato qualche tempo in galera per aver regalato erba a un poliziotto, dimostrando già dalle prime inquadrature la sua idiozia, riacquista la tanto agognata libertà. Ritorna nella sua casa per scoprire che la fidanzata ormai sta con un altro (anche lui un tantino ) idiota e così riprende i rapporti con la sua famiglia composta da madre e tre sorelle. Così vivrà per qualche periodo con ognuna di loro creando scompiglio, danni e qualche riflessione. 
C'è Liz, sposata con un regista, che vive un matrimonio fatto di appannaggio e menzogne e crescono un figlio a cui viene vietato di tutto. C'è Miranda, ambiziosa giornalista di Vanity Fair, disposta a rovinare la vita di una donna pur di emergere e poi c'è Natalie, dichiaratamente omosessuale, ma che tradisce e mente senza capire perché. Ned si ritroverà un po' alla volta a vivere situazioni particolari con le sue sorelle mettendo in evidenza, con la sua snaturata sincerità, finzioni e menzogne delle loro vite. Le costringerà con il suo essere smaliziato e tonto a riflessioni sulle loro vite e di quanto queste siano superficiali e irretite in bolle artificiali. 
Jesse Peretz dunque firma una pellicola che ha del potenziale per tematiche e idee, in alcuni momenti potente ed efficace, ma in altri un tantino lenta e anche noiosa. L'idea dell'idiota, un po' tonto, ma naturale e genuino funziona per metà perché se da una parte Ned fa tenerezza e colpisce al cuore con la sua autenticità, dall'altra perde di credibilità, facendo veramente la figura dell'idiota. Siamo sicuramente abituati a grandi pellicole indipendenti targate Sundance Film Festival, basti pensare ad American Life, Little Miss Sunshine o Another Earth (giusto per citarne qualcuno), ma questa risulta in qualche modo inferiore, anche se non banale. Il senso generale, quello più profondo, di un uomo che con la propria spontaneità riesce a smascherare i contorni di vite definite dall'inganno e grazie a questa sua dote un po' ingenua e un po' autentica riesce a redimere le sorelle e a indurle ad autoanalisi, è sicuramente degna di nota. Insomma una commedia che val la pena di vedere in una di queste calde sere.

2,5/5

lunedì 11 giugno 2012

W.E. - Edward e Wallis

di Madonna
con Abbie Cornish, Natalie Dormer, Andrea Riseborough, Oscar Isaac, Richard Coyle, Annabelle Wallis,James D'Arcy, James Fox, Laurence Fox, David Harbour, Anna Skellern
Gran Bretagna 2011




La regina del pop mondiale, Madonna, si cimenta per la seconda volta dietro la macchina da presa per dirigere un film che ha già spaccato in due l’opinione pubblica. Dopo un apprezzabile esordio con Sacro e profano, stavolta Ms Ciccone ci riprova con un film meritevole di una visione e con una qualità altalenante.
W.E. – Edward e Wallis è la storia (vera) d’amore e di scandalo del Re d’Inghilterra Edoardo VIII e Wallis Simpson, donna di umili origini e con alle spalle due divorzi. La loro relazione, oltraggiosa per i primi del Novecento fu chiacchierata e condannata, portando il Re d’Inghilterra ad abdicare e a lasciare il trono al fratello Bertie, pur di non abbandonare la donna che tanto amava. Si alterna a tale vicenda la storia americana di Wally Winthrop, una donna chiusa in un matrimonio fallito ed infelice, senza lavoro e figli. Si ossessiona alla storia del Duca e della Duchessa a tal punto da viverne quasi i riflessi attraverso la vicenda con una guardia russa, Evgeni.

Madonna racconta gli episodi di queste due solitudini, donne maltrattate e sole, private di dignità in matrimoni violenti. E lo fa con novizia di particolari e con un’ottima colonna sonora (Masterpiece di madonna ha vinto il Golden Globe per la migliore canzone originale). Immersi in un neoclassicismo tipico dell’epoca attraverso abiti, gioielli e trucchi che ricordano esattamente il periodo, Wallis ritrova l’amore e la speranza in Edoardo, ma per la scelta che faranno, saranno destinati all’isolamento e all’odio della famiglia. Diviene così un amore tormentato, da difendere, da consumare di nascosto. Wally invece ritrova la propria strada in Evgeni, un uomo che la farà sentire finalmente amata e considerata. Madonna fa rivivere la propria ossessione per questa storia d’amore in Wally, che rappresenta l’alter ego della regista, evidenziando come la Duchessa sia rimasta nella storia sempre in seconda fila, vista come l’oltraggiosa e la scandalosa a causa dei suoi divorzi. Invece Wally, e quindi Madonna stessa, vogliono evidenziare la solitudine, il dolore, le lacrime che Wallis ha dovuto subire per viversi il suo amore, in quella che viene considerata la storia d’amore più importante del secolo.

La pellicola, dunque, nonostante la critica, ha sostanza e contenuti che non lasciano indifferenti. E’ di certo un film imperfetto, soprattutto per lacune di sceneggiatura (dialoghi spesso banali e scadenti) e per l’eccessivo uso degli elementi dell’epoca, finendo per cadere nel barocco e nel trash. La sensazione è quella che si poteva fare di più, si poteva scavare, andare più in profondità perché gli elementi e la trama c’erano tutti.
Abby Cornish è intensa nell’interpretare una donna triste e sconfitta che pur non s’arrende, così come Andrea Riseborough, acuta e fragile nel ruolo di Wallis

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martedì 5 giugno 2012

Prison Break - Stagione 1


Non voglio sembrare esagerata o sfarzosa nel mio irrevocabile giudizio: una delle migliori serie tv che abbia mai visto. Prison Break è entrata nella mia personalissima hit delle serie tv che ho veduto e si contende il podio con roba tipo Lost e Twin Peaks. No, non sto esagerando. In questo film per me c'è tutto: azione, trama, tensione, paura, violenza, amicizia, amore, pazzia, passione, noir, galere, serial killers, intelligenza e un eccezionale modo di combinare il tutto. Ho appena terminato la prima stagione che ho visto nel giro di pochi giorni tanto è il modo in cui vieni agganciato alla trama. Chi ha scritto Prison Break è una mente geniale fino all'estremo. Un puzzle perfetto che combina tutti gli elementi in un disegno perfetto. I più insignificanti particolari si annidano in ogni dove, i personaggi sono unici e la storia è meravigliosamente struggente e micidiale. Mix letale. Sono assolutamente assuefatta.

Il pilota non mi aveva sconvolta, né tantomeno i primi episodi, ma poi con la puntata numero sei "Rivolta nel Braccio A" è iniziata l'ossessione. Ve lo consiglio spassionatamente, superate le prime puntate e poi lasciatevi coinvolgere nel piano di fuga di Michael Scofield dalla prigione di Fox River nel disperato tentativo di salvare Lincoln, il fratello condannato ingiustamente a morte. Verranno fuori corruzione (ovunque noi guardiamo), rivolte, violenze e menti brillanti. Se non vediamo Prison Break non abbiamo visto nulla. E attenti agli spoiler che sono ovunque.

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Nella vita ci sono tre cose certe: la morte, le tasse, la conta. Sucre

Io mi inginocchio solo davanti a Dio. E qui non lo vedo. Abruzzi

domenica 3 giugno 2012

Attack the Block - Invasione aliena

di Joe Cornish
con John Boyega, Alex Esmail, Franz Drameh, Leeon Jones, Simon Howard, Jodie Whittaker, Nick Frost, Luke Treadaway
Gran Bretagna 2011





Negli ultimi tempi l’Inghilterra sta sfornando prodotti originali e stilisticamente belli. Basti pensare alla serie tv Misfits, ma anche al più recente Chronicle. Anche in questo caso siamo dinanzi ad una pellicola nuova e molto particolare. Al suo primo film alla regia, il comico radiotelevisivo inglese Joe Cornish dirige un teen horror, condito di commedy senza tralasciare lo sci-fi: ed è subito cult.
Londra. Un gruppo di ragazzini in piena adolescenza si divertono a fare i teppisti nel loro blocco aggredendo Sam, giovane infermiera che vive dalle loro parti. Dopo averla derubata però iniziano a piovere dal cielo strane creature dai denti fluorescenti e privi di occhi che inizieranno ad attaccare i ragazzi. Il gruppo capeggiato da Moses deciderà di difendere a tutti i costi il loro blocco, con incoscienza tipica dell’età, divertendosi a fare gli eroi, tra simpatiche battute e uno slang tutto da gustare (vederlo in lingua rende meglio ciò). Non rendendosi conto, in effetti, del pericolo che corrono si daranno all’avventura tra tensione e qualche risata. I cinque vivono in questa zona periferica di Londra dove vige più degrado ed emarginazione, quasi un ghetto e difendere il blocco diviene un modo per elevarsi socialmente. Cinema che racconta un disagio suburbano di una periferia londinese, dove i cinque rappresentano un gruppo di disadattati che fa della violenza il loro scudo nella vita. Moses che rappresenta di più di tutti il ragazzo discriminato dalla società si ritroverà ad essere l’eroe di una situazione più grande di lui. E questa guerra diviene un modo per riscattarsi socialmente e trovare il proprio posto nel mondo.
Un film che stilisticamente parlando ha sostanza, crea suspance e tensione senza fare dell’horror nel senso tradizionale del termine. Ricorda per certi versi Super 8 di J.J. Abrams, ma si differenzia per ambientazione e costi: infatti Attack the Block è stato girato con un budget ridotto, senza comprometterne la riuscita.
Pellicola intelligente dove gli alieni che invadono il blocco sembrano venire fuori da uno scenario fumettistico e non fanno così paura. I ragazzi daranno prova di coraggio affrontando da soli il nemico, senza remore ma con spirito di squadra. Tra sarcasmo, marijuana, inseguimenti e una soundtrack  firmata dai Basement Jaxx che si sposa benissimo con tutto il contesto.

3,5/5


lunedì 28 maggio 2012

Incontro con Giancarlo Berardi

Lo scorso 5 maggio ho avuto la fortuna e il piacere di incontrare Giancarlo Berardi nella Biblioteca Sicilia di Milano. Mi trovavo nei paraggi e non potevo non andare.


Da sempre amo e seguo Julia e avere l'occasione di conoscere il suo 'papà' è stata un'esperienza unica. Eravamo un gruppetto ben fornito, pioveva a dirotto tanto da essere costretti ad andare nella zona bambini ed è venuta fuori una discussione di oltre due ore di notevole interesse. Abbiamo parlato di come nascono le sue storie, di cosa ami leggere, abbiamo parlato di cinema e musica. Assieme a lui erano presenti tre grandi disegnatori del fumetto: Roberto Zaghi, Ernesto Michelazzo e Claudio Piccoli, che ci hanno fatto dei disegni da portare via (ovviamente saranno tutti incorniciati e da me custoditi gelosamente).
Giancarlo Berardi è un uomo unico, grande conoscitore dell'animo umano, come si evince dalle sue storie, molto preparato e un uomo di notevole cultura. Grande narratore, nonostante la sua timidezza, con la sua umiltà e gentilezza mi ha fatto sembrare il mondo un posto migliore.

Disegnare un albo non è cosa semplice. E' un lavoro di gruppo, ed ognuno ha la sua particolare caratteristica. Alla mia domanda di quanto impiegassero a finire un numero di Julia, mi hanno risposto che ci vuole circa un anno! Ed io che credevo ci volesse un mesetto...


Il gruppetto presente


Artisti all'opera



Tre dei disegnatori:
 Roberto Zaghi, Ernesto Michelazzo e Claudio Piccoli 
Io con Berardi



Roberto Zaghi all'opera


Alcune tavole esposte

Tavola firmata Roberto Zaghi






domenica 27 maggio 2012

Molto forte, incredibilmente vicino

di Stephen Daldry
con Thomas Horn, Tom Hanks, Sandra Bullock, Max von Sydow, Jeffrey Wright, Viola Davis, Paul Klementowicz, Julian Tepper, John Goodman, Zoe Caldwell
Usa 2012


Oskar Schell è un bambino straordinario che vive un rapporto intenso con suo padre. Il seguito all'attacco delle torri gemelle il genitore perde la vita ed Oskar per caso, frugando nell’armadio, troverà una chiave che sembra avere lasciato il padre. Inizierà così una lunga ricerca nel tentativo di trovare ciò che quella chiave apre e questo lo condurrà lungo la città a conoscere molte storie, molte persone, le quali, ognuno a suo modo, hanno perso qualcosa.
Tradurre in immagini un libro intenso e di notevole successo come quello di Jonathan Safran Foer non è cosa facile. E' uno dei primi libri che ha affrontato la tragedia dell'11 settembre americano e porta con sé un forte carico emozionale. Il rischio era quello di cadere nel melenso e nel retorico. Rischio in parte avveratosi perché il film a tratti pecca di certa retorica già vista, già sentita, soprattutto nelle parti che vedono Tom Hanks e Sandra Bullock, i due genitori, particolarmente mielose ed enfatiche. Sandra Bullock in modo particolare non ha alcuna espressività necessaria al luogo che ricopre. Tom Hanks, invece, è più profondo e meno pomposo.
D'altra parte, però, il film si lascia vedere, immergendo lo spettatore nella sofferenza che Oskar vive, bambino che pare soffrire della sindrome di Asperger, ma forse è semplicemente un bambino intelligente, che soffre per una perdita così devastante. Il percorso che intraprende alla ricerca di ciò che la chiave apre, nella forte speranza di trovarvi un messaggio del papà, è dolce e doloroso allo stesso tempo. E' un modo per esorcizzare il dolore che prova, un modo per affrontarlo e per crescere attraverso gli altri. Conoscerà molte vicende umane in un percorso fatto di domande e incertezze. Oskar ha paura, usa un tamburello per tranquillizzarsi e porta dentro di sé sensi di colpa che col tempo, e grazie a questa ricerca, proverà a superare, scongiurare. Un film intenso dal significato penetrante al quale Stephen Daldry (regista di Billy Elliot, The Hours e The Reader) è comunque riuscito a dare una impronta personale e significativa. Innegabile è che queste tematiche che sulla carta hanno un certo significato e una vita propria, sulla schermo perdono quella sostanza tipica di un libro. Cadere nel sentimentalismo è facile e rischioso. E in tale retorica ci si cade un po’ per forza di cose: da una parte l’11 settembre con le sue vittime e dall’altra un bambino introverso, poco incline alla socializzazione e con fissazioni particolari che cerca un segno del padre. Thomas Horn nel ruolo di Oskar è capace ed efficace, qualcosa si perde nel doppiaggio, ma tutto l’impianto recitativo è retto da lui.


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Pubblicato su: Cinema4stelle


sabato 26 maggio 2012

Saguaro


Segnalo oggi l'uscita di una nuova serie targata Sergio Bonelli Editore: Saguaro.
Un nuovo numero 1 in edicola è per me appuntamento importante, per questo custodisco nelle mie mani il prezioso albo che ancora non ho letto. Personaggio creato da Bruno Enna, che si avvale tra gli altri disegnatori anche di Alessandro Poli che, chi ha letto Cassidy o Demian (due mini-serie sempre Bonelli, entrambe per me tra le migliori che abbia mai letto) già conoscerà oltre che da Fabio Valdambrini, Luigi Siniscalchi, Marco Foderà, Italo Mattone, Elisabetta Barletta, Paolo Armitano & Davide Furnò, Fabrizio Busticchi & Luana Paesani, Alessandro Pastrovicchio e Ivan Vitolo.

Il personaggio è così presentato: "Thorn Kitcheyan, reduce dalla guerra in Vietnam, torna a casa, nella riserva navajo, per affrontare il suo passato, ma anche le tensioni e i contrasti del presente". Il tutto avverrà  a: "Window Rock, Arizona, 1972. Nella riserva navajo, molti nativi vivono ancora nell'indigenza, mentre i proprietari terrieri e le corporation fanno i loro interessi, con il benestare dei politici locali". (Fonte: sito Sergio Bonelli)
Non avendolo ancora letto non so com'è, né se proseguirò con l'acquisto, so solo che mi ispira moltissimo!!

Numero 1!


venerdì 25 maggio 2012

Special Forces

di Stéphane Rybojad
con Diane Kruger, Djimon Hounsou, Benoît Magimel, Denis Menochet, Raphael Personnaz, Alain Figlarz,Mehdi Nebbou, Morjana Alaoui, Raz Degan, Tchéky Karyo
Francia 
2012



Elsa Casanova è una giornalista francese che in Afganistan svolge il suo lavoro, raccontando, attraverso la voce di una giovane donna, tutte le atrocità subite dalle donne afgane da parte dei Talebani. Questi ultimi, scoperto l’intento della giornalista, decidono di farla sparire, sequestrandola. Il governo francese, però, decide di intervenire per liberare la coraggiosa inviata e manda un gruppo di forze speciali che subito adempiono al loro compito, ma perderanno i contatti con la base. Dopo dovranno riuscire a portare in salvo se stessi ed Elsa cercando di superare il confine tra Afganistan e Pakistan mettendosi in salvo in qualche località protetta dove i Talebani non hanno potere. Inizia così un lungo viaggio, pericoloso, impervio, pieno di perdite e difficoltà con i Talebani alle calcagna. 
Non siamo abituati a veder affrontare queste tematiche, quasi sempre di stampo americano, da registi francesi. Eppur il regista Rybojad, che ha alle spalle un passato da documentarista militare, si muove con classe affrontando tale argomento con consapevolezza e conoscenza. E’ un film che nel suo genere, e per chi lo ama, risulterà un film ben fatto e orchestrato. Siamo lontani dall’idea di uomini tutti muscoli che nel tentativo di salvare la giornalista francese vengono inneggiati a eroi della patria. Ciò che viene fuori nel corso della loro fuga è la psicologia di ogni personaggio che pian piano si delinea attraverso quei sentimenti che fanno dell’uomo un essere umano con tutte le sue paure. Il senso di impotenza, di rabbia, di colpa, la voglia di farcela, il timore, ma anche l’orgoglio. Diane Kruger nel suo ruolo di giornalista pasionaria e coraggiosa fa la sua degna figura, così come tutti gli altri attori presenti. Il capo dei Talebani, invece, è interpretato da un Raz Degan che riesce a convincere, forse aiutato dai suoi colori e lineamenti tipici del posto. Il ruolo della donna afgana costretta a coprirsi e a subire quotidianamente torture fisiche e psicologiche è l’incipit di una vicenda che poi si concentra sul tentativo disperato dei francesi di liberarsi dagli estremisti armati. La fuga come segno di rivolta, di ricerca di sé, ma anche come motivo per capire lo scopo di ciò che si fa nelle proprie vite. Lo mette in discussione un soldato che impaurito si chiede se ne valga la pena, pone il dubbio Elsa, come giornalista e come donna. 

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Pubblicato su: Cinema4stelle

giovedì 17 maggio 2012

Quella casa nel bosco

di Drew Goddard
con Richard Jenkins, Bradley Whitford, Chris Hemsworth, Fran Kranz
Usa 2012


Ecco uno dei film più sorprendente degli ultimi tempi: quella casa nel bosco è un horror diverso e molto coinvolgente. Spiegare la trama significherebbe rovinare il gusto di chi si avvicina a questa pellicola. Come recita giustamente la tagline della locandina: "tu credi di conoscere la storia". Sì, perché inizia come il più tipico dei film horror: cinque ragazzi che decidono di andare a passare il week-end in una casa nel bosco. Ci sono tutti i personaggi tipici del genere: l'atleta muscoloso e virile, la bionda un po' oca, la secchiona che porta dietro libri, il tipo intellettuale e lo scemo della brigata. Una volta giunti nel bosco, però, dimenticate le solite prassi degli horror (almeno di quelli più scadenti), ma cercate di guardare 'oltre', ma anche 'sotto'. Non sono una consumatrice di film del genere, ma questo mi ha incuriosita e dico a ben ragione perché di estremamente spaventoso non vi è poi nulla, ma è una sorta di thriller ben strutturato. Geniale. E' anche un omaggio a vari personaggi dello scenario horror, che ritornano con chiaro rimando e con vari riferimenti. Parlare o tentare di spiegare questo film è cosa ardua perché si rischierebbe di fare del triste spoiler. E' un horror, thriller, con una spruzzata di comedy nera, che cerca di smontare le strutture tipiche dei film horror, rimontandole sul finale. Un film che parla di finzione nella finzione, un tantino splatter e caratterizzato da humor nero, cosa che lo rende ravvisabile come atmosfere e sensazioni a Scream. A dir la verità, un po' mi ha ricordato anche la serie tv (mini, di 5 puntate) dello scorso anno Dead Set e se l'avete vista capirete il perché. Per certi versi, tipo il dialogo o l'eta dei personaggi o il clima che si respira può apparire come un teen horror, tuttavia è il meccanismo che muove la pellicola che lascia lo spettatore disilluso ed incredulo. Irrealtà, doppiezza, finzione, insomma metafisica dell'horror.

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sabato 12 maggio 2012

New Girl

Mentre voi dibattete sulla chiusura de Il Manifesto, io mi dispero per la fine (per questa stagione) di alcune serie tv tipo The Big Bang Theory (che ha chiuso un'altra stagione esilarante), Fringe, Criminal minds, I diari del Vampiro. Per fortuna sono iniziate The Killing e The Game of Thrones, nell'attesa di True Blood (più serie tv che recupero tipo Prison Break e Dexter, ma la lista è lunghissima).


Ma ciò su cui vorrei porre l'attenzione è New Girl. Terminata da poco, m'ha scaldato il cuore. Diciamolo: nella vita c'è bisogno di 20 minuti a settimana di questo tipo di sit-com, un po' stile Friends, Sex and The City o il formidabile The Big Bang Theory. New Girl è partita senza troppe pretese lo scorso gennaio ed è riuscita a ritagliarsi uno spazio grazie alla vitalità che la contraddistingue, rafforzandosi episodio dopo episodio, difatti la seconda metà della stagione ha fatto faville. Fresco, simpatico, leggero, ironico, racconta di Jess, una particolare maestra, che dopo aver rotto col suo fidanzato, va a vivere con tre ragazzi, portando scompiglio e risate. Zooey Deschanel, bellissima, con uno stile anni '60 impeccabile ed invidiabile, è Jess ed è una ragazza frizzante e dai modi garbati, ma egocentrici, solare e con un modo di fare non molto normale. Con le sue strane manie ne combinerà di tutti i colori, finendo sempre per fare figuracce pessime. Stringerà una leale amicizia coi coinquilini Nick, Schmidt e Winston.
Puntata dopo puntata verranno fuori i vizi e le virtù di questi nuovi trentenni con le loro situazioni tragico-sentimentali, i loro problemi nel trovare o mantenersi un lavoro, la vita in casa insieme, il sesso. Schmidt è sicuramente il più strano e la vera macchietta dello show, con la sua mania della perfezione fisica e la convinzione di essere un play boy. Nick è un barista che ha lasciato giurisprudenza senza ancora sapere bene perché ed è alla ricerca del suo posto nel mondo. Winston, ex atleta, cerca lavoro e si svilupperà bene verso la metà della serie. Poi c'è Cece, modella e amica di Jess che porterà parecchio scompiglio ormonale. I cinque presto si affezioneranno e daranno vita a una simpatica convivenza. New girl è esilarante e tutto da gustare.

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Ps: a parte la mia triste battuta iniziale, se Il Manifesto chiude si dà un altro brutto strattone alla libertà di stampa e di opinione nel nostro Paese. E sarà l'ennesima sconfitta.



Let's be honest, Schmidt is the show.



giovedì 10 maggio 2012

Chronicle

di Josh Trank
con Dane DeHaan, Alex Russell, Michael B. Jordan
Gran Bretagna, Usa
2012


Non bastano dei super poteri per fare dei super eroi. E questo l'avevamo inteso già grazie a Misfits, dove un gruppo di giovani non solo non sa che farsene dei poteri che accidentalmente gli sono affidati, ma addirittura recano danni e morti varie. Stesso schema in Chronicle, dove Andrew, Matt e Steve scoprono per caso un cratere, all'interno del quale sono esposti ad una specie di cristallo che emana una luce particolare, in seguito al quale acquisiscono del poteri telecinetici. All'inizio è un gioco, uno sperimentare divertente e originale, ma presto il gioco finirà per dare spazio a un delirio di onnipotenza. Girato utilizzando il metodo del found footage, solo attraverso le telecamere dei protagonisti scopriamo la storia. Andrew riprende tutto ciò che ha davanti, per nascondere la sua timidezza, dietro la macchina da presa si sente più sicuro, data anche la difficile situazione familiare che vive. E' il più debole del gruppo, quello più chiuso e insicuro che con i poteri prende consapevolezza di sé fino ad arrivare ad un crollo psicotico, iniziando ad utilizzare il proprio potere con crudeltà e senza alcun limite. E se prima si nascondeva dietro la telecamera, ora diviene il protagonista del 'suo' film, mostrandosi e partecipando più attivamente. Un film che parla del potere e di come nelle mani sbagliate possa divenire letale. Di come il potere annebbi la vista e porti la natura umana a degenerare e a perdere il senso stesso delle cose. Proprio come Andrew, che preso dalla disperazione per la malattia della madre, perde la ragione  e porta in scena tutta la sua rabbia. Un ragazzo difficile, con un'esistenza traumatica che degenererà fino a perdere il senno, ricordandoci in questo crollo e in molte scene il film del 1976 di Brian De Palma Carrie-Lo sguardo di Satana. 


Un film che non fa un abuso di effetti speciali, ma che si concentra, nonostante le particolari scene, sulla storia, sui tre giovani e sulla piega che prenderanno le loro vite. Un piccolo cult del genere, non privo di imperfezioni, più vicino a un pubblico giovane alle prese coi problemi adolescenziali che gli stessi protagonisti vivono, una sorta di teen horror-fantascientifico, da riconsiderare tra qualche anno, vedendo nel frattempo come invecchierà.

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lunedì 23 aprile 2012

Leafie - Storia di un amore

di Oh Seongyun
Corea del Sud
2011


Leafie è una gallina dolce e smaliziata che vive in cattività in un pollaio. E' diversa da tutte le altre: sogna la libertà e la natura. Fingendosi morta riesce a scappare, ma presto si renderà conto di quanto il mondo sia ostile e di come la natura sia una guerra continua tra specie diverse. Il nemico più spietato è la donnola One-Eye, che lascia orfano un anatroccolo del quale Leafie deciderà di prendersi cura nonostante le evidenti difficoltà che si evidenzieranno sopratutto quando il piccolo anatroccolo diventerà una bellissima e coraggiosa anatra.
Cartone coreano, Leafie rappresenta la voglia di libertà, di scoprire, di aprire nuovi orizzonti alla propria esistenza, ma anche la delusione di scoprire un mondo diverso da come lo si era immaginati. Subentra così la paura, il diverso e gli ostacoli più inaspettati. Leafie è una gallina buona, non conosce il cinismo e la cattiveria ed affronta anche con leggerezza la quotidianità nonostante la derisione degli altri animali. C'è anche però amore, un sentimento disinteressato e puro che Leafie riserva ad un anatroccolo che decide di allevare come se fosse figlio suo, e lo fa totalmente e senza mezze misure. L'etica coreana sembra presente tutta, perché il cartone sembra dotato di una spiritualità coinvolgente. Per quanto le tematiche siano conosciute e l'ambientazione di una fattoria non abbia nulla di particolare, la pellicola non cade mai nello sdolcinato o nel vittimismo, anzi non mancano momenti forti con un finale che rappresenta la forza del sacrificio per un amore di madre che supera i confini. Un cartone semplice, ma forte di questa semplicità, è un cartone che punta dritto al cuore con la sua intima e lucida visione delle cose. Leafie rappresenta il nuovo, la conoscenza, la voglia di evadere da qualcosa che non ci rappresenta più, e anche la semplicità di un'anima che sa apprezzare tutte le bellezze della natura delle quali fino a quel momento è stata privata. La cattiveria però insorge e non è solo quella degli uomini, ma quella di specie animali diverse, ma Leafie con la forza di una leonessa riuscirà a difendere il suo cucciolo contro il nemico fino a quando cresciuto dovrà iniziare a spiccare il volo da solo.
Insomma un cartone che custodisce la propria forza nella semplicità di tematiche ed ambientazioni trattate con anima e cuore.

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giovedì 12 aprile 2012

Piccole bugie tra amici

di Guillaume Canet
con Marion Cotillard,François Cluzet, Benoît Magimel, Gilles Lellouche, Jean Dujardin, Laurent Lafitte,Valérie Bonneton
Francia
2010


Un gruppo di amici come ogni anno parte per le vacanze estive in cerca di divertimento e relax. Qualche giorno prima la partenza, Ludò, fa un incidente molto grave che lo costringe in un letto d’ospedale in bilico tra la vita e la morte. Tuttavia il gruppo decide di partire ugualmente convinti della sicura guarigione di Ludò. In questa bellissima località francese il gruppo di quasi quarantenni cerca di godere della compagnia e del luogo, ma presto inizieranno a venire fuori bugie, malintesi, tensioni e difetti tipici di ogni persona.  C’è Max, il più ricco e paranoico del gruppo che vive con insofferenza l’affetto spinto di Vincent che non ama più la moglie, la quale soffre questa situazione da rinnegata. C’è Eric che ci prova con tutte le donne che gli capitano, ma che ama l’unica che lo lascia. C’è Marie, che ama Ludò, ma si consola con uomini momentanei. E poi c’è Antoine ossessionato dall’ex ed esaspera i suoi amici per un sms ricevuto. 

Guillaume Canet al suo terzo film da regista, gira una commedia personale e corale sull’amicizia e tutti i suoi turbamenti. I vari personaggi che si susseguono, ognuno con le proprie problematiche esistenziali rappresenta un po’ tutti noi. Ognuno si ritroverà in qualche personaggio o vi ritroverà l’amico che da sempre lo affianca. E forse è proprio questa la forza del film, la capacità del regista di far apparire gli attori con una umanità e complessità veritiera e condivisibile. Quasi intrappolati in questa località marittima, alla fine dovranno fare i conti con se stessi e affrontare la situazione creatasi. Tra tensioni emotive, dovute anche al caro amico in fin di vita, ognuno porterà la propria vulnerabilità al limite, mettendo in evidenza nevrosi e patologie. E’ quasi uno studio psicologico che Canet ne fa, un’analisi che va al di là della semplice descrizione caratteriale. Bisogna analizzare a fondo, notare un gesto o un’occhiata che intercorre tra di loro. Attriti portati al limite, inquietudini esasperate, agitazioni inspiegabili: tutto si condensa e poi esplode nell’ultima mezzora, quando il dramma riporta tutti alla realtà dove è necessario fare due calcoli e porsi qualche domanda. Piccole bugie quotidiane che fanno da contorno a rapporti umani tipici di ognuno. Una commedia basata sulla autenticità dei rapporti umani descritti senza fronzoli o ipocrisie, nella quale vengono messe in evidenza, senza esasperazioni, difetti e finzioni tipici di ogni rapporto con momenti anche divertenti e con un’ottima prova dell’intero cast. Sopra tutti Marion Cotillard, silenziosa e fragile, sembra l’unica che si estrania  dal gruppo tra un bicchiere di vino e una sigaretta e che analizza la situazione da un punto di vista più razionale.  
Una regia raffinata ed empatica nella quale ci si ritrova sentimentalmente coinvolti, commossi come se fossimo lì anche noi. E non è poco.


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sabato 7 aprile 2012

Biancaneve

di Tarsem Singh
con Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammer, Sean Bean
Usa
2012



E’ da un po’ di tempo che il cinema d’oltreoceano sta proponendo rivisitazioni di fiabe Disney. Dopo Cappuccetto rosso sangue ed in attesa di Biancaneve e il cacciatore con Charlize Theron, ecco che approda nelle sale italiane Biancaneve di Tarsem Singh con Julia Roberts nei panni della regina cattiva. Il punto di partenza e le idee generali della storia sono chiaramente ripresi dalla celebre fiaba dei fratelli Grimm: la strega cattiva, Biancaneve coi sette nani, il principe, il bacio del risveglio e la mela avvelenata. Il tutto però subisce delle trasformazioni che rendono il film nuovo e particolare. Infatti Biancaneve non è più la dolce fanciulla, indifesa e impaurita che aspetta di essere salvata dal principe, bensì è lei l’artefice delle proprie azioni, che grazie all’aiutato di 7 strampalati e facinorosi nani diventerà una esperta spadaccina. E se aspettate il bacio del principe, sappiate che sarà Biancaneve a svegliare da un incantesimo il suo amato. Dopo il cartone Rapunzel, è proprio il caso di dire che queste fiabe moderne mettono al centro l’autonomia delle donne e la loro forte intraprendenza. La regina cattiva è un’affascinante Julia Roberts, alle prese con assurde cure pur di restare giovane e bella e farà a gara con Biancaneve per conquistare il cuore del principe, che non appare tanto virile e coraggioso quanto un po’ intontito e alquanto impacciato. Anche le fiabe possono essere lo specchio di una società e se dapprima le ragazze erano raffigurate come romantiche e sospiranti fanciulle in attesa del principe azzurro, ora sono descritte come giovani donne dal carattere forte e con un approccio più pratico all’esistenza.

Julia Roberts è la vera macchietta della pellicola con le sue battute e il suo humour nero riesce ad essere divertente e ci fa quasi tenerezza nel suo sogno di eterna giovinezza.  Biancaneve è la vera battagliera del film perché si ritroverà a difendere il reame, portato allo sfacelo da una regina viziata e spendacciona. Il tutto condito da esilaranti e simpatici dialoghi, battute ironiche e goffi combattimenti, non tralasciando il mondo fantasy ricordato da incantesimi, specchi parlanti, pozioni magiche e vestiti incantevoli come solo le fiabe possono osare. E’ sicuramente un film divertente da gustare con leggerezza attraverso un sorriso e un sospiro.

2,5/5

martedì 13 marzo 2012

The Double

di Michael Brandt 
con Richard Gere, Topher Grace, Martin Sheen, Odette Yustman, Tamer Hassan, Stana Katic, Stephen Moyer
Usa
2011


Paul Shepherdson (Richard Gere), agente della CIA in pensione, viene richiamato dal suo mentore Tom Highland per indagare sull’uccisione di un senatore che pare avesse avuto rapporti con la Russia. Shepherdson nella sua lunga carriera ebbe a lavorare sul caso Cassius, spietato killer russo,  la cui modalità tipica di uccisione era un taglio netto al collo. Il senatore pare morto nelle stesse circostanze, per cui l’ex agente è la persona adatta ad investigare. Viene affiancato però da un giovane agente dell’FBI Ben Geary (Topher Grace), convinto si tratti proprio di Cassius, mentre Shepherdson parla di un imitatore, perché sicuro che Cassius sia morto.
Su tale base inizia un thriller che fa acqua da tutte le parti. Questo principalmente perché sin da subito si scoprirà la vera identità di Cassius facendo così calare di colpo l’attenzione dello spettatore, che ormai si trova a sapere troppo non avendo più alcuna curiosità o nodo da sciogliere. La pellicola tuttavia prosegue tra indagini, analisi, inseguimenti senza nesso logico tra di loro. La sensazione è quella di un film poco curato, mediocre e senza un vero fondamento.
Gli psico thriller (che fanno pensare ad Alfred Hitchcock, ma qui non vi è assolutamente nulla del Maestro) devono essere strutturati in modo intelligente e d enigmatico per trovare una loro verità e una via per lo meno credibile. E forse rendendosi conto dello scarso risultato si è pensato di inserire sul finire un altro colpo di scena, che se da una parte dona al film un minimo di dignità, dall’altro il telespettatore è già troppo stanco per gustarlo. Insomma ci si muove a tentoni, con personaggi che sembrano delle macchiette piuttosto che interpreti. Paul e Ben, che forse dovrebbero rappresentare l’archetipo del poliziotto buono e quello cattivo non riescono a bilanciare le loro parti, rendendo poco credibili i loro personaggi.
Esordio alla regia di Michael Brandt, già sceneggiatore di 2 Fast 2 Furious, il quale realizza un film veloce e che velocemente si dimentica, poco thriller e molto banale.

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martedì 28 febbraio 2012

Lettera liberamente ispiratami dalla lettura di 'Tenera è la notte' di Fitzgerald



Mio caro Dick, 
in questi giorni misuro la tua assenza contando le pillole che mi hai prescritto. Sei andato fuori per uno dei tuoi tanti viaggi di lavoro. Chissà ora a quale caso psichiatrico ti sottoporrai. E chissà quale altra attricetta di bassa lega ti scoperai. Io comunque sono qua, intrappolata nella mia malattia e nel tuo amore. Ho bisogno di te e così mando giù pillole e tradimenti. I bambini sono in spiaggia a giocare, creano castelli con la sabbia e poi li distruggono. Il sole sta calando, l’aria è più fresca e io sento un dolore in fondo al petto.
Sai, mio caro Dick, non sono così tonta come faccio credere agli altri. Sì, sono pazza, sono isterica e tu mi hai salvata dal baratro, ma so anche che Rosemary ti ha cambiato interiormente. Quella bambina, piccola, immatura ed infantile, ti eccita e ti stimola. Anche tu sei un pervertito. Come mio padre. Ha solo venti anni e la sogni ogni notte nuda su di te. E dentro di me ci sono le lacrime. So anche che per non perderti dovrò accettare questo tuo amore nascosto. Lei, però, è una sciocca attrice, bellissima e luminosa, ma di me non avrà mai né l’oscurità, né il dolore. Ed è il dolore che rende bella e unica una donna. Ed io ne ho da vendere. Dick, alle volte ti odio e allora capisco quanto ti amo e quanto bisogno ho di te.
Stamattina all’alba sono scesa in spiaggia ed ho camminato a lungo. Ho ripensato a noi, alla clinica in Svizzera, al tuo libro, a mia sorella, a mio padre. Alle volte odio tutto, anche i bambini, anche loro frutto di sogni falliti e stupidi. Ma poi prendo le medicine e capisco che non è tutto così male. Tu mi hai salvata, Dick, ma ora mi stai uccidendo. Anche io ho bisogno di un nuovo amore e di sentirmi desiderata. Lo vedo come mi guardano gli uomini, non sarò più giovanissima, ma le mie forme longilinee e le mie rughe nascondono vissuti e momenti importanti. Ieri sera sono andata con Tommy. Lui mi ama, ma questo lo so da tanto. Ora anche io lo amo e presto ci sposeremo. Sono felice per me, ma ho anche un senso di colpa che mi divora.
Dick, tu prima eri il mio centro di vita, mio uomo e medico, mia ancora sicura, ma dopo Rosemary non sei più stato lo stesso. E più tu bevevi, più io mi allontanavo. Più tu l’amavi, più io acquisivo coscienza di me. Ora, non ho più bisogno di te. Anzi ti odio e ti porterò via i bambini. Non voglio più vivere con te, che stai crollando e stai distruggendo tutto. Sono guarita Dick, più ti ammalavi e degeneravi, più pensavo a me e divenivo donna forte e cosciente come non lo sono mai stata. Perché l’altra sera al party ti sei messo così in ridicolo? E perché con Rosemary l’altra mattina al mare ti sei messo così in mostra? Sei vecchio, Dick, vecchio e stupido. Sei malato tu adesso e io che sento nuova vita in me, vado via. Non sono egoista Dick, ma non ti amo più, pur amandoti per sempre. Non avrai più i miei soldi, stavolta dovrai ritornare a scrivere. 
Dick, perdonami se puoi. Sono qui, una donna finalmente consapevole, dopo anni di medicine, lacrime e terapie, mentre tu invece ti fai del male. Forse non ci è dato di essere sereni entrambi, forse non lo saremo mai.
Domani partirò Dick, porterò con me tanti ricordi, frustrazioni, desideri e qualche profumo. Non dimenticarmi Dick, io non lo farò.


Nicole.

venerdì 24 febbraio 2012

Straw dogs - Cani di paglia

di Rod Lurie
con Laz Alonso, Alexander Skarsgård, James Marsden, Kate Bosworth, Willa Holland
Usa
2011

Una giovane coppia di sposi, David ed Amy Summer, si trasferisce nel paesino di nascita di lei. Il marito, sceneggiatore e scrittore, pensa così di poter trovare la giusta concentrazione per terminare il suo lavoro, mentre la moglie, attrice famosa e molto bella, può occuparsi della vecchia casa paterna. Giunti nel paese, che vive di usi e tradizione proprie, i due prendono subito contatto col posto e coi loro abitanti. Amy, conosciuta ed amata si trova più a suo agio in un posto che a David è del tutto estraneo. Non mancano le stranezze e le tensione che David cerca di affrontare con classe e distacco. La coppia incarica quattro vecchi amici di Amy di riparare una parte della loro casa, ma subito iniziano i problemi di relazione. Infatti il gruppo, volgare e aggressivo, importuna Amy e prende in giro David, che stremato li licenzia. Dopo una serie di tragiche vicende, David si ritroverà a difendere la propria vita, quella di sua moglie e la sua proprietà con le unghie e con i denti, tirando fuori il suo lato più forte, violento e criminale, che mai ci saremmo aspettati di vedere ad inizio pellicola. 
Cani di paglia remake dell'omonimo film di Sam Peckinpah del 1971, mostra i due lati dell'essere umano. La psicologia di David è infatti il fulcro della vicenda, perché è lui che dovrà cambiare il suo modo di vivere per tutelarsi. E' David che per sopravvivere all'umana cattiveria e violenza, dovrà diventare un cattivo e difendersi a tutti i costi. E' un film sulla violenza e sulla duplicità dell'uomo. Non sul doppio in stretto senso dostoevskiano, perché David non vive dentro di sé una duplicità, ma una volta annusato il pericolo, egli è costretto a cambiare comportamento. Anche lui diviene aggressivo, spietato. Ecco allora la doppiezza, inconsapevole e indispensabile. L'uomo in verità è un essere animalesco che posto dinanzi alla morte, reagisce di conseguenza. Macchiandosi di sangue se necessario. La sopravvivenza, tipica degli animale, ma insita in tutte le vicende umane, è il motore del vivere quotidiano, è il bisogno per il quale si combatte e si spera. 
Il gruppo di operai aggressivi e rozzi rappresentano il branco, quello che semina soprusi e si fa forte dell'unione. Rappresenta il male, che, citando il poeta Wystan Hugh Auden, "non è mai straordinario ed è sempre umano". Sono bestie chiuse in una cittadina che approva ciò che fanno. Ecco anche il male dei piccoli luoghi dove il confronto è nullo. Dove non arriva cultura e l'uomo è ridotto a essere un animale parlante.
Un film interessante, dunque, per la tematica, senza lode e senza vergogna, che merita una visione. Da recuperare l'originale.

lunedì 13 febbraio 2012

Albert Nobbs

di Rodrigo Garcia
con Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Jonathan Rhys Meyers, Brendan Gleeson, Janet McTeer
Irlanda 
2011




Albert Nobbs è un cameriere preciso, impeccabile e riservato. Svolge da trent’anni la sua mansione, facendo una vita ritirata e piena di rinunce. Ha il grande sogno di aprire una sua attività e per questo risparmia ogni singola sterlina. Albert Nobbs è tutto questo, ma molto altro. Egli nasconde un importante segreto: è una donna, la quale per poter lavorare e vivere nella sua epoca si ritrova a fingersi uomo e lo resterà per tutta la vita. Siamo nell’Irlanda del diciannovesimo secolo e forse essere uomo permette di avere una vita meno complicata. Quando nell’albergo nel quale lavora arriva un imbianchino, molte cose cambieranno. Albert avrà finalmente l’occasione di aprirsi a qualcun altro, di confidarsi ed iniziare a fare qualche progetto speciale.
Ripreso da una pièce teatrale, presentata nel 1982 e interpretata sempre da Glenn Close, Albert Nobbs arriva finalmente nelle sale dopo una lunga gestazione. Ne viene fuori un film ricco di spunti di riflessione. Molte le tematiche toccate, la più importante quella della ricerca della propria identità fisica. Albert è una donna che per trent’anni indossa una maschera che finisce per divenire la sua stessa natura. Isolata in se stessa, chiusa dentro un silenzio e un dolore insopportabile. Ed ecco anche il punto debole della pellicola che pur trattando il tema della personalità e della natura umana, manca di tracciarne un carattere più intimo e psicologico al personaggio. Molte le domande che assillano lo spettatore a fine pellicola: Albert è una donna che soffre nel proprio corpo e che vorrebbe veramente essere uomo o è una donna che recita una parte, ma in verità vorrebbe esprimere tutta la sua femminilità? Albert sogna di sposarsi per ottemperare ai bisogni della società che impongono un matrimonio per essere ben visti o è realmente innamorato? Tematiche toccate, ma non approfondite lasciano al film un senso di provvisorietà, che se invece fossero state analizzate, sarebbe risultato molto più interessante. Invece il regista Rodrigo Garcia preferisce raccontare la storia più da un punto di vista storico, mettendo in luce le differenze tra i ricchi e la servitù.
Nel 1800 essere donna era difficile e, spesso, doloroso. Le cameriere, trattate come oggetti, erano alla mercé dei loro padroni viscidi e opportunisti. Epoca difficile dove il denaro era la prima forma di autenticità. Così Albert, senza genitori o parenti, decide di fingere di essere un uomo per assicurarsi almeno un briciolo di dignità.
A riempire la pellicola è una immensa Glenn Close, giustamente candidata all’Oscar, che interpreta in modo convincente Albert. Occupatasi anche della sceneggiatura, riesce a trasmettere il vuoto che sente dentro di sé. Non stupirebbe affatto se riuscisse anche a vincere. Altra candidatura all’Oscar, stavolta però come attrice non protagonista, è toccata a Janet McTeer che interpreta Hubert Page, l’amico e confidente di Albert.
Insomma un film che aveva tutti gli elementi per venire fuori splendidamente, ma che ha preferito non decollare e rimanere in superficie mancando di quel carattere psicologico ed interiore che sarebbe stato l’elemento chiave e di svolta di tutta la storia.


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Pubblicato su: Cinema4stelle

domenica 22 gennaio 2012

L'ora nera

di Chris Gorak
con Rachael Taylor, Emile Hirsch, Joel Kinnaman, Olivia Thirlby, Max Minghella
Usa
2011



Sean (Emile Hirsch) e Ben (Max Minghella), amici da tanto tempo, atterrano a Mosca per importanti impegni lavorativi che finiscono per fallire miseramente. Per consolarsi i due si recano nel locale più in voga della città e bevendo qualche bicchiere di vodka incontrano Natalie (Olivia Thirlby) e Anne (Rachael Taylor), anche loro americane, in vacanza nella capitale russa, e subito nasce l'intesa. La serata sembra procedere bene fino a quando accade l'incredibile. Cala il buio, le luci si spengono e giù dal cielo scendono luminose delle luci, retate e filiformi e se dapprima appare uno spettacolo piacevole, dopo si riveleranno mortali e assassine. Infatti queste luci aliene appena entrano in contatto con una persona la uccidono in pochi secondi. Ecco che il gruppo, recatosi a Mosca per altri motivi, si ritrova a fronteggiare uno stato di crisi e a lottare per la sopravvivenza. Cosa sono queste luci? Alieni?
Chris Gorak confeziona uno dei più dozzinali e classici film fantascientifici che spaziano dal thriller all'horror, ma nel modo più generico possibile. Un gruppo di coetanei si ritrova a scappare terrorizzato, cercando a tutti i costi una salvezza futura, costretto ad assistere alla caduta dei suoi simili in una Mosca deserta e desolante mai vista così. La paura che si prova, il senso di impotenza dinanzi a qualcosa di sovrannaturale ed inspiegabile che porta, tuttavia, l'uomo a risvegliare gli istinti più primordiali in lui insiti: sopravvivere ad ogni costo. Tutto però è trattato in un modo grossolano e senza punte interessanti. Temi già visti, storie umane anonime, solita trama con poco pathos.
Dunque nulla di nuovo, dialoghi privi di contenuto e personaggi per i quali non si prova alcuna empatia. Attori al minimo della forma poco aiutati, forse, dalla sceneggiatura. Un film che ricorda per contenuti e sostanza Skyline, altro film del genere dello scorso anno. L'unico dubbio che rimane è un finale che lascia aperta l'idea di un seguito, negando così anche il piacere di una conclusione necessaria ad un film già in sé vuoto.

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Pubblicata su: Cinema4stelle

sabato 21 gennaio 2012

L'incredibile storia di Winter il delfino

di Charles Martin Smith
con Harry Connick Jr., Ashley Judd, Nathan Gamble, Kris Kristofferson
Usa
2011


Winter è la tenera storia, ispirata ad una vicenda realmente accaduta, di un delfino che, rimasto impigliato in una trappola per granchi, viene ritrovato da un introverso ragazzo, Sawyer, che si porta dietro i traumi dell'abbandono paterno. Winter, ripresosi e portato in un ospedale marino, riporta però gravi ferite alla coda, situazione che potrebbe indurlo lentamente alla morte. Ma grazie all'amorevole aiuto di un biologo marino, della sua bambina, Hazel, e del suo team affiancato da un brillante medico esperto in prostetica riusciranno a ristabilire Winter. 
La storia di Winter è la classica storia per ragazzi che ricorda molto anche la vicenda dell'orca di Free Willy. Film per giovanissimi, che riesce a parlare soprattutto a loro. Attraverso la storia di un delfino ferito, infatti, si ripercorre la vita di Sawyer, il quale grazie all'affetto e al legame che stabilisce con Winter riuscirà a superare le proprie paure, i propri limiti e a stringere forti amicizie. Ricuce il rapporto con la mamma, aiuta il cugino anche lui rimasto ferito durate la sua missione da soldato e diviene un giovane con molti interessi. D'altronde il messaggio di base è proprio il cercare di superare ognuno i propri limiti partendo proprio da Winter, che grazie all'aiuto di un geniale e 'fuori le righe' medico (Morgan Freeman), riuscirà a convivere con la propria disabilità. Rappresenta la speranza per tutti quelli che vivono un handicap, perché si è persone a prescindere da qualche malfunzione. Come il cugino di Sawyer, come Sawyer stesso che imparerà a conoscere se stesso e ad aprirsi all'altro, come Hazel che deve fare i conti con la morte prematura della sua mamma. Ognuno, insomma, deve fare i conti con se stesso e con le proprie difficoltà e debolezze.
Quindi i temi sono quelli ricorrenti e anche già visti, ma il regista Charles Martin Smith è onesto e asciutto nella sua narrazione e ne risulta anche una rilassante visione ricca di significato per i più piccoli. In fondo chi è che non ama i lieto fine e le storia dense d'amore filiale e di simboli significativi per i più giovani. L'accettazione e la convivenza con la disabilità sia essa fisica o emotiva, il bisogno d'amore sia nei bambini, negli adulti che negli animali, il bisogno di approvazione. Insomma un film gioioso per tutta la famiglia. Un punto dolente è l'so del 3D. Poiché sono veramente poche le scene nell'oceano o sulla natura marina, il 3D risulta del tutto inutile. La storia è ispirata ad una vicenda accaduta realmente, Winter esiste sul serio ed interpreta se stesso. E realmente si è aiutato questo delfino a riacquistare, seppur artificialmente, la propria coda.


2,5/5


Pubblicata su: CInema4stelle

giovedì 19 gennaio 2012

Shame

di Steve McQueen
con Michael Fassbender, Carey Mulligan
Gran Bretagna
2011


Shame: storia di due egoisti e superficiali fratelli alle prese coi loro problemi esistenziali più o meno profondi. No, non voglio distruggere il ben pensato film di Steve McQueen, ma non mi ha molto convinto. La storia sicuramente interessante di Brandon, che ha evidenti problemi col sesso, nel senso che non pensa ad altro e ne è a tratti afflitto e provato, ma tottalmente succube, ha sì in sé qualcosa di geniale, ma non riesce ad andare oltre una, seppur intensa, descrizione. Brandon è dipendente dal sesso, ha continue pulsioni e questo gli impedisce di avere qualsiasi tipo di sana e stabile relazione. E' un uomo vittima di se stesso e di questo dramma che vive. Cerca di nasconderlo attraverso un appannaggio di vita decente, attraverso il lavoro ed una bella casa. Ma tutto è vano: è prigioniero del suo stesso corpo, ne è totalmente schiavizzato, è tenuto in gabbia da un continuo e violento bisogno.
Poi c'è Sissy, sua sorella, anche lei fragile e con problemi a mantenere una relazione stabile. Tutto sembra dirci che forse i due hanno subito qualche tipo di trauma e di sofferenza tale da averli condotti ad uno stile di vita doloroso, ma sono supposizioni. Sissy è in cerca di attenzioni, soffre, si dimena, piange, ha paura e seppur qualche sentimento lo manifesti, sembra una bambina capricciosa che non attua alcuna riflessione.
Brandon è contorto in se stesso, vittima della sua stessa agonia, non parla, non piange, ma senti comunque la sua tensione, dentro uno sguardo, un movimento.
Ma per me finisce qui.
Non cerca neanche di affrontare il suo problema. Non c'è catarsi o redenzione, necessaria ad una rinascita. Rimane fermo là, un uomo di carne e nient'altro. Quando si trova di fronte ad una donna veramente interessante scappa, trema, ha paura, ma non prova neanche a reagire. La sorella lo cerca, nella sua infantilità vuole trovare un punto di contatto, ma lui è chiuso in sé in preda a silenzi assordanti. Ecco perché questo film non mi è piaciuto, nonostante l'idea della prigionia nel proprio corto è troppo interessante; perché avrei voluto che Brandon affrontasse i propri demoni, anche non riuscendoci, tuttavia provando. Rimane tutto a un livello semplicemente descrittivo, seppur magistralmente narrato, senza il salto verso l'alto. Forse non c'è via d'uscita, forse si è destinati a subire tutto questo. L'unico momento che mi regala qualche speranza sono le lacrime sotto la pioggia. Unica luce in questa nebbia. Ma il buio ritorna, nonostante tutto, nonostante tutti. Le inquadrature e le immagini lente e lunghe sono metafora di un susseguirsi del dolore. I brevi dialoghi fanno pensare a un silenzio pregno di abbandono. Michael Fassbender è completamente entrato nel personaggio, il problema è che non mi piace il personaggio, anche se riesce intensamente a trasmettere l'odio verso di sé e quindi quello verso gli altri. Forse non accetta la situazione, se ne fa carico, ma non tenta un miglioramento. In lui non vi è alcuno sforzo. Carey Mulligan stavolta non mi ha convinto affatto, troppo spocchiosa. Insomma un film che aveva in sé tutte le carte in regola per esplodere, ma che rimane chiuso in una scatola.
Stasera tocca ad Hunger.


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