giovedì 30 dicembre 2010

Twin Peaks

di David Lynch e Mark Frost, 1990-1991, Usa

Questo per me è stato l'anno in cui, finalmente, ho visto Twin Peaks e non posso fare a meno di dire che è la migliore serie tv che abbia mai visto. Di Twin Peaks s'è detto tutto. Nonostante i vent'anni trascorsi è riuscita a regalarmi delle sensazioni e dei pensieri unici. Che David Lynch fosse un regista strepitoso questo si sapeva, ma con Twin Peaks ci ha regalato più che un film. Le atmosfere, i luoghi, i personaggi sempre così fuori le righe e sempre così misteriosi, ogni volta è stata una scoperta capire che non erano quello che sembravano. Lynch ha giocato con la nostra mente, con i nostri credo, con le nostre paure, insomma è riuscito a catapultarci in situazioni surreali e immaginarie. E' riuscito ad ingannarci.
La lotta tra il Bene e il Male è stata trattata con maestria e acume. E' stato, per me, un vero e proprio viaggio nelle illusioni e nelle visioni lynchiane. Filosofia, religione, psicologia, letteratura: Agostino, Nietzsche, Freud, Seneca, la Bibbia.

Scoprire chi avesse ucciso Laura Palmer è stata una rivelazione. La seconda stagione ha sicuramente preso un'altra piega, allontanandosi dal tormentone 'Chi ha ucciso Laura Palmer?', tuttavia ha aperto un altro mondo di mistero e di infinite domande. Insomma Strepitosa!!!
E che finale! so che era prevista una terza stagione e lì per lì volevo sapere ancora di più, ma in verità è un finale eccezionale! Personaggi mitici che resteranno per sempre nell'immaginario dei tantissimi fans (perché mi viene in mente la donna col ceppo????^^)

Un voto??? ovviamente il massimo.

Frase Cult: I gufi non sono quello che sembrano!





American life (Away we go)

di Sam Mendes, con John KrasinskiMaya Rudolph, 2009, Usa, Gran Bretagna


American life (ma perché tradurlo così se già Away we go andava strabene???) è il classico film che senza irruenza, ma con dolcezza e garbo ti entra dentro. Composto, delicato, sottile. Quando finisci di guardarlo ti ritrovi con un sorriso ebete e cominci a riflettere. Perché dietro tutto il cammino di questa giovane coppia c'è la riscoperta di se stessi. Un viaggio che approda nella propria familiarità, nel proprio cuore, nel proprio io, l'unico luogo importante dove si deve imparare a stare. Perché se non si accettano i drammi della vita è inutile cercare, si finirebbe per non trovare mai. Un viaggio di ricerca, d'amore, ma soprattutto di riscoperta di sé. A volte è necessario partire, cercare, scoprire, fare giri immensi, per poi ritornare laddove si era lasciato. Un percorso che Burt e Verona decidono di intraprendere insieme, perché diventare genitori è un momento di straordinaria e spaventosa felicità!


4/5

lunedì 20 dicembre 2010

Barfly - Moscone da bar

di Barbet Schroeder, con Mickey RourkeFaye DunawayAlice KrigeStacey PickrenFrank StalloneUSA, 1987


Ieri sera ho visto Barfly e credo non mi sia piaciuto. Ammetto che nonostante sia monotematico, il film scorre piacevolmente e si "lascia guardare" volentieri. Il tema in sé è anche particolare e suggestivo: un poeta maledetto e sregolato, che vive alla giornata, incontra una donna ed è amore dal primo sorso. Tra tradimenti e riconciliazioni, il film traccia un'analisi sulla società e sulla reale o fittizia libertà delle persone. 
E' vero anche che non ho mai amato Bukowski, dal cui libro è tratto il film, per un tipo di scrittura che non prediligo (mio limite, ci mancherebbe). Ma la verità è che non mi è proprio piaciuto l'attore e il suo modo di presentare il personaggio. Ora, io il libro di Bukowski in questione non l'ho letto, ma qualcosa su Henry Chinaski sì (Post Office) e sinceramente lo immaginavo diverso. Mickey Rourke (apprezzato in molto altri film), qui,  pecca di istrionismo, secondo me. Non mi piace, non mi fa simpatia, mi innervosisce quel modo esagerato di camminare, quel mascellone pronunciato. E questo mi ha rovinato tutto il film. Ho apprezzato invece Wanda, più naturale e convincente. 
Per il resto il film, prodotto tra l'altro da Francis Ford Coppola, non è male e il momento più alto è quando Chinaski parla della "gabbia dorata" nella quale vive Tully, una giovane e bella donna proprietaria di una rivista letteraria. Il discorso sulla sua vita, sul come sia un uomo che appartenga alla strada, di come non possa vivere una vita ordinaria, è altissimo. A voler dire che ciò che fa o come vive, in realtà, è una sua scelta e non conseguenza di valutazioni sbagliate. Mentre gli altri, apparentemente benestanti, con case di lusso e vite impeccabili, sono prigioniere di se stessi e di modi preconfezionati di vivere. Cos'è veramente la libertà? E chi è veramente libero? 
Un po' stile "Le cose che possiedi alla fine ti possiedono".


La frase Tolstoj diceva: " La vicinanza della donna è una necessaria spiacevolezza della vita. Evitala per quanto ti è possibile".


"Io appartengo alla strada, non mi ci sento qui, non riesco a respirare."
"Forse perché non ci sei abituato, ma qui puoi crescere"
"Bella, le piante crescono. Io odio le radici."


Curiosità Barfly in gergo vuol dire 'mosca da bar'.


Voto 2/5







domenica 12 dicembre 2010

Cyrus


di Jay Duplass, Mark Duplass, con John C. Reilly, Marisa Tomei, Johan Hill, Usa, 2010

John, uomo solitario, dopo sette anni dalla fine del suo matrimonio decide di cercare una nuova compagna. Durante una festa incontra per caso Molly (una magnifica Marisa Tomei), donna affascinante e simpatica ed intraprende con lei un’appassionante storia d’amore. Ma presto John dovrà fare i conti con una ingombrante presenza (in tutti i sensi): il figlio di Molly. Cyrus è un ragazzone di 21 anni, vissuto senza la figura paterna, che inizia un ‘buon viso a cattivo gioco’ nei confronti di John. Cyrus è geloso, possessivo e darà inizio ad una guerra psicologica nel tentativo disperato di ‘riprendersi’ la madre. Il rapporto madre-figlio è decisamente ossessivo, molto personale, dettato sicuramente dall’assenza, negli anni, di una figura maschile. Cyrus è apparentemente un uomo, che poi finirà per rivelare fragilità e paure di chi ha un solo genitore e di chi teme la crescita e preferisce rimanere chiuso nella propria casa coi propri affetti. Il ragazzo non vuole diventare adulto ed affrontare i distacchi e l’indipendenza che ciò comporta.
Insomma una commedia psicologica, che indaga nell’animo umano, che scava in quei sentimenti esistenziali, fragili eppure teneri, dove al centro c’è sempre l’amore. Non mancano i momenti più ilari e comici che fanno da cornice ad una storia ben calibrata tra simpatia e malinconia.
Una commedia ben recitata, ben scritta, ben girata. Lo zoom delle inquadrature e i movimenti della macchina danno un senso di realismo e di vicinanza con i personaggi.
La prova dei tre attori è molto convincente. Un trio perfetto, tra i quali spicca Johan Hill (il nostro Cyrus). L’attore riesce perfettamente nello scopo di apparire sicuro di sé e simpatico, ma attraverso i suoi occhi riusciamo ogni volta a cogliere i timori e gli sconforti che lo assalgono. 

3/5

martedì 30 novembre 2010

Arrivederci Maestro Mario!


                         

                                            

                                   «La vera felicità è la pace con se stessi. 

                            E per averla non bisogna tradire la propria natura.»

                           Mario Monicelli (16 maggio 1915 - 29 novembre 2010)

Tornando a casa per Natale (Hjem til jul)


di Bent Hamer, con Nina Andresen Borud, Trond Fausa Aurvaag, Norvegia, 2010

E’ la notte di Natale in un meraviglioso villaggio della Norvegia. Neve, addobbi natalizi, case illuminate. Il clima è quello dolce e incantato tipico del Natale. Inizia così la narrazione delle vicende di più persone, che finiranno per intrecciarsi tra di loro. 
Tra queste la storia di un padre che pur di vedere i figli si traveste da Babbo Natale, all’insaputa dell’ex moglie che l’ha cacciato di casa. Un ex campione di calcio, ormai dedito all’alcol e divenuto un vagabondo, il quale cercando qualche soldo per prendere un treno, rincontrerà per puro caso un vecchio amore.  E poi la storia d’amore di una donna, la quale crede e spera che l’uomo sposato che ama lasci la moglie dopo Natale. La dolcezza di un ragazzo che finge che la sua famiglia protestante non festeggi il Natale pur di stare con la ragazzina musulmana che gli piace. 
E poi la storia, forse più commovente, di una coppia serbo-albanese dall’oscuro passato, che si rifugia in una baita mentre la donna deve partorire e qui si intreccia la vicenda di un medico troppo preso dal proprio lavoro per considerare la moglie e che si ritroverà a mettere al mondo il figlio della coppia. 
Il film, tratto da una selezione di racconti brevi del norvegese Levi Henriksen “Only Soft Presents Under the Tree”, è una favola moderna che passa in rassegna dolori, ansie, problemi di uomini che affrontano il difficile cammino della vita. Una commedia dal sapore agrodolce, dove non mancano anche momenti ilari e positivi. Come la nascita di un bimbo che con essa porta la redenzione del medico, dedito troppo ai vizi mondani. O la tenera rabbia di un padre che vuole stare con i propri figli e che deve accettare la ‘sconfitta’ di un amore perduto. 
La dolcezza di un amore ritrovato e che viene ripercorso attraverso dolori e sorrisi. Dunque una notte amara per chi deve fare i conti con le difficoltà e gli ostacoli della vita, ma dove è ravvisabile anche qualche speranza e qualche luccichio. 
Bent Hamer (Factotum) mette in scena i sentimenti e con essi le emozioni. Il suo film parla di umanità quasi come in una fiaba e di una quotidianità reale e vera. Perché, sembrano dirci i personaggi, a Natale tutto può succedere!

2/5


sabato 20 novembre 2010

Porco Rosso

di Hayao Miyazaki

Proiettato per la prima volta in Giappone nel 1992, Porco Rosso è uscito nelle nostre sale solo lo scorso 12 novembre.
Marco Pagot è un fuoriclasse dell’aviazione militare italiana. Sopravvissuto miracolosamente ad un misterioso incidente durante la prima guerra mondiale assume, in seguito ad una maledizione caduta su di lui, le sembianze di un maiale antropomorfo. Lascia, così, l’aeronautica e si ritira su di un’isola dalmata, facendo il cacciatore di taglie. Diviene l’incubo dei “Mamma aiuto”, pirati dell’aria che seminano terrore sull’Adriatico. Questi decidono, così, di eliminarlo, ingaggiando Donald Curtis, un aviatore americano affascinante e spietato. Marco, alias Porco Rosso, combatte i contrabbandieri col suo biplano rosso fuoco.
Le anime giapponesi sono sempre meravigliose, se poi a occuparsene è un genio come Hayao Miyazaki ( La città incantata, Il castello errante di Howl) c’è poco da aggiungere.
Ambientato in Italia durante le due guerre mondiali, il film tratta di temi cari alla poetica di Miyazaki. Il contatto con la natura, sempre presente e sentito attraverso incantevoli immagini dell’Adriatico; lo sguardo sull’isola segreta nella quale si rifugia Marco; le fotografie  del cielo, ricco di nuvole, dove Porco con il suo biplano disegna movimenti e figure. La contrapposizione tra i buoni e i cattivi, senza mai prendere posizione. Un forte pacifismo, difatti marco si scontra e lotta, ma mai ucciderà qualcuno. Il rapporto tra giovani e adulti, sottolineato dal personaggio di Fio, giovane ingegnere che riparerà il suo biplano. E poi il tema politico, evidente già dal colore dell’aereo di Porco (oltre che dalle scritte iniziale anche dal titolo, sempre di colore rosso). “Meglio essere un maiale, che un fascista” questa la frase chiave del film pronunciata da Porco contro il regime fascista sempre più presente, che sta invadendo la sua amata l’Italia. Luogo dove Marco ama volare, dove vive Madame Gina, affascinante cantante di un night, ‘Hotel Adriano’, frequentato da contrabbandieri.
Meraviglioso l’accompagnamento musicale, costante e tenero. Sin dalle prime note delle canzoni francesci che Gina canta. La colonna sonora è stata curata da Joe Hisaishi, collaboratore di vecchia data del regista e Tokiko Kato (compositore della canzone-tema "Toki ni wa Mukashi no Hanashio").

4/5

Pubblicato su 
http://www.cinema4stelle.it/Recensione-Porco-rosso.htm


venerdì 19 novembre 2010

I fiori di Kirkuk

di Fariborz Kamkari, con Morjana Alaoui, Ertem Eser, Mohammed Bakri, Italia, 2010


Iraq 1988. Il regime di Saddam Hussein è impegnato in una spietata decimazione del popolo curdo. Il Paese è in ginocchio, devastato da sangue e miseria. Najla fa ritorno a Baghdad dopo aver studiato medicina a Roma. Ritorna con un unico scopo: sapere dove sia finito Sherko, l’uomo che lei ama, medico curdo, rientrato in patria per aiutare le forze ribelli. Lei, donna forte, libera, indipendente, deve lottare sin da subito contro la fermezza della morale tradizionale, che vede la donna prima come figlia e poi come moglie. Deve resistere nella dura ricerca dell’uomo che ama. Ciò la porterà a lavorare come guardia medica dell’esercito per aiutare le forze ribelle e riuscire così a liberare Sherko. Il tutto contrastando il tenero, e a volte feroce, amore del generale Mokhtar. 
Interessante il ritratto di una donna che ha il coraggio e la forza di esprimere le proprie idee e di affrontare tutte le conseguenze che ne derivano, in un Paese dove tutto ciò non è poi così scontato. Morjana Alaoui, la bella attrice, che interpreta questo ruolo, a volte risulta plateale e poco credibile.
Attraverso le avventure dei due innamorati, Fariborz kamkari, regista curdo formatosi in Italia, decide di raccontare, quasi come un documentario, il cruento massacro dei curdi avvenuto alla fine degli anni Ottanta. E lo fa con immagini forti che ti inchiodano alla poltrona. Importanti le riflessioni che nascono con la visione del film, perché la storia non va dimenticata. Sicuramente una delle pagine più tristi della storia araba. Da cornice la città di Kirkuk, un luogo dove “l’amore non è possibile”.
Da contrasto alle città grigie e tetre devastate da guerre, uccisioni e morti, saranno solo i fiori di Kirkuk, unico schizzo di colore in un quadro altrimenti solo cinereo. I fiori come unica fonte di calore umano, di positività, di luce in mezzo a tutto questo buio, unico barlume in un Paese che uccide i suoi figli. 
Nonostante la pellicola proponga temi importanti, però, il film stenta a decollare. Ciò che manca è, forse, un impianto unitario sia da un punto stilistico, che argomentativo. Gli elementi, in verità ci sarebbero tutti, ma il racconto rimane fermo ad un livello formale, tradendo, così, le aspettative del regista. 

2,5/5


martedì 16 novembre 2010

L'estate di Martino

di Massimo Natale, con Treat Williams, Luigi Ciardo, Matilde Maggio, 2009, Italia.

Italia. Estate 1980. Estate di sangue e paura. Ustica prima, il 27 giugno, Bologna dopo, il 2 agosto. Gli anni di piombo e i tanti richiami alla guerra cosiddetta "fredda". Ma anche l'estate di Martino, un ragazzo nel pieno della sua adolescenza e della ricerca di sé. Ricerca che avviene in unione col mare, metafora e simbolo di vita e redenzione.

Martino passe le sue giornate in spiaggia insieme alla comitiva del fratello. Un giorno si imbatte in una zona protetta della Nato, ma questo non lo fermerà dall'esplorarne la zona. Qui farà la conoscenza del capitano Jeff Clark, col quale nascerà un'amicizia fatta più di silenzi che di parole. Un'amicizia bagnata dalla schiuma del mare, perché Clark inizierà a dare lezioni di surf a Martino. Intanto, il protagonista si innamora di Silvia, ragazza del fratello.

La storia è accompagnata dalla narrazione della favola "Dragut", principe che sfidò il mare per amore. Era la preferita della mamma di Martino.

Molte le tematiche che si intrecciano e che ci regalano, dunque, un film non banale.

Il surf come metafora di vita, di crescita, di impegno, costanza, determinazione, che consentiranno al protagonista di iniziare un viaggio dentro se stesso, ma che porteranno anche il capitano a momenti di riflessione. Infatti il rapporto padre-figlio viene analizzato in due aspetti. Quello del capitano col figlio, che ormai non vede da tempo, il quale ha lasciato l'esercito senza dare alcune spiegazione; e quello di Martino con suo padre, comunista sfegatato, burbero, violento, per nulla dedito all'ascolto se non al comando. I due, attraverso un crescendo emozionale, potranno riflettere ognuno sulle proprie responsabilità e colpe per giungere, poi, ad una catarsi. Il capitano inizierà, così, la ricerca di un figlio perduto e Martino, invece, una ribellione nei confronti del padre "assente".

L'amore di Martino verso Silvia, desiderato, sperato, forse ricambiato, lo porteranno a rischiare perché, come nel surf, bisogna "buttarsi" e se si cade, ci si rialza, magari più forti di prima.

Tanti, dunque, i temi trattati, senza cadere nel "già-visto": amore, amicizia, politica, famiglia. Da sottofondo il mare, simbolo e messaggio significativo. Il mare rappresenta l'ignoto, ma, anche, il grembo umano, luogo dove lottare e attraverso la lotta, acquisire nuova consapevolezza di sé. Impedire che la paura ci faccia smettere di sognare.

Sì, il sogno, perché, cambiare la storia, seppure impossibile, è uno splendido sogno da raccontare. La storia, la quale deve insegnare e non far rassegnare le menti.
La strage di Bologna (alle cui 85 vittime è dedicato il film): il dolore delle morti violenti. Per non dimenticare.

"Sognare non vuol dire dimenticare"

3/5

Pubblicato su
http://www.cinema4stelle.it/Recensione-L-estate-di-martino.htm


venerdì 5 novembre 2010

Miseria e nobiltà

di Mario Mattoli, con Sophia Loren, Totò, Giuseppe Porelli, Carlo Croccolo, 1954, Italia.

Mitico film degli anni Cinquanta. Uno straordinario Totò: brillante, ironico, esilarante. Una pellicola meravigliosa, che rimane dentro. Ne sono totalmente entusiasmata. Alcune delle scene sono ormai un classico del cinema, come tanti altri sketch di Totò. Sublime. Lascio, forse, il video-simbolo del film. Tutto da... gustare!!!

5/5



giovedì 28 ottobre 2010

Frankenstein Junior

di Mel Brooks, con Gene WilderPeter BoyleMarty Feldman1974






Rivisitazione di una delle trame più descritte al cinema. Ma questo film è sensazionale, soprattutto per la bravura degli attori. 
Io tifo Igor!
Però nel film ho amato tantissimo il momento del balletto tra il Dottor Frankenstein e il Mostro. 
E che musica! Nanananana nananana!!
E comunque "SI. PUO'. FAREEE"


4/5

domenica 17 ottobre 2010

L'estate d'inverno

Di Davide Sibaldi, con Fausto Cabra, Pia Lanciotti, 2007, Danimarca


Quando un ragazzo di 19 anni scrive e dirige un film è sempre da apprezzare. Se poi lo fa in un modo asciutto trattando temi intensi e delicati è da applaudire. Davide Sibaldi, classe ’87, ha questo film pronto da tre anni. E’ passato sotto diversi Festival, vinto parecchi premi ed oggi finalmente il film esce nelle sale italiane (decisamente poche, a dire il vero).

La storia, ambientata in una stanza d’albergo, nella fredda, umica e magica Copenaghen, vede due protagonisti. Lulù, prostituta trentottenne, e Christian, giovane diciannovenne.

Dopo essere stati insieme, lui le chiede di passare un’altra ora insieme, solo per parlare. Lei, dopo qualche resistenza accetta. Così inizia un flusso di coscienza intenso, forte e toccante.
Il tema centrale è quello dell’abbandono, entrambi carnefice e vittima della stessa solitudine. Lui rivede in lei la madre che non ha mai avuto, lei in lui il figlio che non ha voluto avere.

Il tutto in un gioco di ruoli e di azioni che lasciano il pubblico con un dubbio. Un incontro che avrà quasi la funzione di una catarsi, una purificazione, una rivelazione, per giungere ad una nuova consapevolezza, di una nuova vita. Un incontro importante, che cambierà il modo di percepire i loro sensi. Trovare l’estate nell’inverno delle loro vite, attraverso la parola, il Logos che è Verità e Vita, attraverso l’ascolto che è Rinascita e Conoscenza.
 I due attori vengono fuori dalla grande scuola del teatro, e si vede. Si sente. I dialoghi sono carichi, vigorosi, le loro espressioni notevoli e secche. Certo, a tratti le conversazioni possono apparire verbose o troppo teatrali, ma forse, è questa la loro forza.

Una bella sorpresa insomma, di un film che oltre a valere la pena vedere, è bello anche da sentire, con la musica che accompagna costantemente le scene.

3/5

“La cosa più bella è anche la più pesante da portare.”

martedì 12 ottobre 2010

Gone Baby Gone

 Di Ben Affleck, con Casey AffleckMichelle Monaghan, Morgan Freeman, 2007, Usa


 Prima di vedere The Town, ultimo film che vede alla regia di Ben Affleck, uscito venerdì scorso nelle sale italiane, ho deciso di vedere il primo film diretto da Affleck: Gone Baby Gone.
Come tutti (ho letto vari commenti) sapendo chi fosse il regista sono partita un tantino prevenuta (errore enorme, tuttavia umano), ma, come tutti, ho dovuto ricredermi.
Non solo il film è ben girato, ma affronta alcune tematiche, come la pedofilia, la morte, il senso di colpa, in modo pulito ed espressivo.
Ciò che più mi è piaciuto è il metodo narrativo utilizzato. Non è il solito inizio-colpo di scena-conclusione, ma un insieme di avvenimenti, uno legato all'altro che portano a sciogliere il mistero finale inaspettato e fortissimo. Il film tiene incollati allo schermo, magari per notare un particolare o cogliere un'espressione, fino a capire che c'è qualcosa di grande nascosto sotto la superficie.
 Al centro della vicenda c'è il rapporto adulti/genitori- bambini/figli.
La piccola Samantha di quattro anni, figlia di una madre tossicodipendente e totalmente indifferente alla crescita della sua piccola, viene rapita. Oltre alla polizia si interessa al caso Patrick Kenzie, giovane trentenne, la cui conoscenza del posto e di molti delinguenti del luogo gli consente di muoversi da investigatore privato. Insieme a lui la compagna e collega Angie Gennaro, che rappresenta il lato buono, riflessivo, indignato della storia. Insomma un'analisi del Male, che non è mai troppo straordinario, ma spesso umano, troppo umano.
Molto tipiche le immagine iniziali, ma un pò di tutto il film dei quartieri bostoniani, dove si mescolano genti e modi diversi di vivere.
Bravo Casey Affleck, fratello del regista, che interpreta bene il ruolo del gangster pentito, convertito ora al bene. Linguaggio ed abbigliamento da strada gli consentono di mimetizzarsi nelle strade sporche e lacere e attuare le indagini ponendosi dallo stesso punto di vista dei sospettati.

4/5

"Le cose che ti fanno diventare quello che sei sono quelle che non scegli… "

Curiosità
Il film è basato sul romanzo La casa buia (Gone, Baby, Gone) di Dennis Lehane, lo stesso che ha scritto La morte non dimentica(Mystic River), da cui poi Clint Eastwood ha tratto il suo omonimo film.

martedì 5 ottobre 2010

Julia: investigatrice dell'animo

Non potevo iniziare a parlare di fumetti, se non partendo da quello che più amo: Julia- le avventure di una criminologa.
Mensile, nato esattamente 12 anni fa, nell'ottobre del 1998, dalla mente e dal genio di Giancarlo Berardi.
Julia Kendall, figura ispirata ad Audrey Hupburn, fa la criminologa. Insegna all'Università ed in più collabora con la polizia di Garden City, cittadina del New Jersey. Si ritrova quotidianamente a fronteggiare malviventi e ad analizzare scene del crimine. Il suo compito è quello di tracciare il profilo psicologico dell'assassino, attraverso gli elementi che trova, vede, elabora sulla scena del crimine. Julia deve "entrare" nella mente e nell'animo del serial killer per poterne anticipare le mosse. Un noir, un giallo ben scritto e sceneggiato, incantevolmente disegnato.
Spirito raffinato ed elegante, Julia deve fare i conti con un'infanzia difficile, l'insonnia, i problemi legati a sua sorella Norma.
A farle compagnia la gatta persiana Toni e la sua governante Emily, donna schietta e dinamica, con a seguito numerosi ex mariti e innumerevoli figli. Emily è la vera macchietta della serie. Sempre con la battuta pronta e molto affezionata a Julia, tanto da volerle trovare marito. Molto simile all'attrice Whoopi Goldberg.


Amici e collaboratori
Innanzitutto Leo Baxter, amico di vecchia data, investigatore privato, che spesso da una mano a Julia nelle indagini. La cosa suscita le ire di Webb (o le gelosie????).
Il tenente Alan Webb, col quale collabora nei vari casi che si trova ad affrontare. Tra i due non si sprecano i vari battibecchi dovuti a divergenze caratteriali, ma palese è la stima reciproca e forse anche un pizzico di attrazione. Attore di riferimento è John Malkovich.
Il sergente Ben Irving, "The Big Ben", braccio destro di Alan, amico di Julia, gigante dal cuore tenero. Attore di riferimento, al quale è ispirato è John Goodman.

Julia ha un rapporto molto speciale con la nonna Lilian, la quale ha cresciuto lei e Norma come una seconda mamma, poiché le nipoti persero i genitori in un incidente stradale quando erano ancora molto piccole. Ora ha scelto di vivere in una casa di riposo, convinta che "i vecchi non debbono stare coi giovani", credendo di essere solo d' intralcio alle nipoti. Cosa che, ovviamente, rattrista Julia, che invece, la vorrebbe con sé.

Nemica celebberrima è Myrna Harrods, personaggio ricorrente nella serie.

Julia Kendall è bella, raffinata, sensibile, intelligente, colta. Una donna con le sue mille problematiche, i suoi incubi e le sue paure. Nei vari albi non mancano mai verie citazioni: letterarie, filosofiche, musicali, cinematografiche.
Insomma un'esperienza imperdibile.

Curiosità
Fantastica la sua Morgan, che adoro, ma che adora anche il suo meccanico, il quale letteralmente costringe Julia a non cambiarla, nonostante i suoi numerosi problemi!

Oltre a Berardi dei testi, spesso, se ne occupa anche Lorenzo Calza.


 Storico primo numero di Julia: Gli occhi dell'abisso, nell'ormai lontano Ottobre 1998 (in pratica questo mese è il suo compleanno^^).


Per i collezionisti il numero 1 è un cimelio, come la Numero Uno di Zio paperone :)














                                                             Julia e Toni.




Julia ed Emily in primo piano.
Dietro Alan Webb, Leo Baxter e Ben Irving.










"Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro te."
                                                F. Nietzsche "Al di là del bene e del male"

L'uomo che amava le donne

Di Francois Truffaut, con Charles Denner, Francia, 1977

Racconto raffinato e sincero di Bertrane Morane, uomo affascinante e amante delle donne. Il film passa in rassegna tutte le sue amanti, ognuna con proprie peculiarità e ossessioni. Deciderà così di scriverne un libro e di tentarne la pubblicazione.
4/5

"Bertrand ha inseguito un'impossibile felicità nella quantità, nella moltitudine: perché abbiamo bisogno di cercare in tante persone ciò che la nostra educazione pretende di farci trovare in una sola."



sabato 2 ottobre 2010

I 400 colpi (Les Quatre Cents Coups)

Di Francois Truffaut, con Jean Pierre Lèaud, Francia, 1959.


Parigi, la magica e sublime.
Antoine Doinel è un ragazzino di 12 anni. Vive con la madre ed il patrigno, in un piccolo appartamento. Considerato poco dalla madre, una donna dedita più a se stessa ed alla sua vita che al figlio o al marito, Antoine va male a scuola ed a essa preferisce il cinema e le uscite con l'amico René. Farà qualche furtarello, e dopo avere marinato la scuola prima e aver preso un brutto voto dopo, decide di non tornare più a casa, per evitare l'ennesima delusione. Così trascorrerà le sue notte in una buia ed affascinante Parigi di fine anni '50.
Viene narrato, dunque, il percorso di crescita e maturità di un bambino che pian piano diviene adulto e come tale deve affrontare i suoi problemi e responsabilità. Tutti i comportamenti di Antoine sembrano gridare al bisogno d'attenzione verso i familiari e le istituzioni. 
Insomma un inno alla libertà dell'infanzia e alle sue mille difficoltà ed insicurezze. Antoine dovrà affrontare il riformatorio e l'indifferenza familiare. Tuttavia il finale ci regala uno dei momenti più belli di tutta la pellicola, una metafora di vita e di libertà attraverso gli occhi di un bambino ormai divenuto uomo. 


Curiosità: Il titolo originale si riferisce all'espressione "faire les quatre cents coups", che vuol dire "fare il diavolo a quattro";
E' il primo lungometraggio di Truffaut ed è il primo film di una serie dedicata ad Antoine Doinel, alter ego del regista, sempre interpretato da Jean-Pierre Léaud
La serie racconta la vita di questo giovane, dall'adolescenza alla maturità ed i fil sono
Antoine e Colette (1962), Baci rubati (1968), Non drammatizziamo... è solo questione di corna (1970), L'amore fugge (1978).


5/5



venerdì 1 ottobre 2010

Inception

"Sogno o son desto?"
Vengono in mente Shakespeare, Schopenhauer, Cartesio ed ora anche Nolan, il quale nel suo ultimo film ha intrapreso un viaggio onirico ad alto livello. Una pellicola ambiziosa e complessa, che richiede al pubblico un totale coinvolgimento ed uno sforzo. Una rivisione è d'obbligo.
Il sogno viene analizzato, spiegato, mettendo in pratica gli assunti freudiani, perché è nel sogno che l'uomo è più libero, quindi più facilmente manipolabile.

Dom Cobb (un sempre più bravo Leonardo Di Caprio) è un estrattore di segreti dalle menti umane e lavora quando l'uomo è più vulnerabile: nel sonno. Ora col suo team dovrà attuare l'operazione opposta: insinuare, immettere, innestare (Inception, appunto) un'idea nella mente di Fisher jr sotto proposta di Saito, quindi scendere su tre livelli di sogno, quindi di subconscio. Ma lo stesso Cobb dovrà fare i conti con i suoi fantasmi e sensi di colpa (colpa e catarsi sono temi noti al cinema di Nolan, presenti in tutti i suoi film).

Da sempre il confine tra la veglia ed il sogno è un confine che appare labile ed incerto, tanto da considerare alle volte lo stato di veglia come un prolungamento del sonno. E nel film i vari livelli si alternano e si incastrano lasciando alla spettatore un senso di "contrapposizione".
Aristotele vedeva il sonno e dunque il sogno come una vita minore rispetto allo stato di veglia, e fino alle scoperte freudiane, si pensava al sogno come alla parte più negativa, ombrosa e dunque pericolosa dell'uomo. Ma anche il sonno della ragione può creare mostri.
Non è possibile distinguere il confine che separa il sogno dalla realtà. O forse è possibile (magari grazie ad un totem). Cartesio è colui che si è posto tali interrogativi e ha posto la possibilità di un Dio ingannatore e capriccioso che ci fa vedere le cose come in realtà non sono.

A questo pensavo quando guardavo Inception!
E se fosse tutto un sogno? E se Nolan fosse quel genio cattivo ed ingannatore che vuole farci vedere le cose in un modo, ma poi sono in un altro? E se stessimo tutti dormendo? E se quel totem ci stesse ingannando? I quesiti restano ed il dubbio (cartesiano) si insinua.
Di certo un film destinato a tante interpretazioni (in rete ne girano parecchie) e che ha una forza ed un impatto visivo particolare.
Ottimo cast, maestosa musica che accompagna benissimo il film, senza mai risultare invadente.

Come diceva Schopenhauer, la vita e i sogni sono pagine di uno stesso libro.


5/5 




venerdì 24 settembre 2010

Christopher Nolan... aspettando Inception

Oggi esce Inception!
(Che bel giorno per inaugurare il mio blog)
E per questo grande evento mi sto preparando da un po', attraverso una (ri)visione di tutte le pellicole di Nolan. Ieri sera ho concluso con Batman Begins. Inutile dire che muoio dalla voglio di vedere l'ultima, ma ci vorrà, ahimè, inizio settimana.
Inizia la sua carriera, con lungometraggi, nel 1998 con Following, l'unico film che devo recuperare.
Nel 2000 esce un grande film, a mio avviso, quello che già lo segna nell'olimpo dei grandi: Memento. Un film particolare ed unico, dove si assaporano tutti gli ingredienti della filosofia personale di Nolan. Un film che va rivisto per capirlo appieno. Film che procede su due binari, che si alternano e si confondono e che rivelano la coscienza ed il punto di vista del protagonista, Leonard Shelby, il quale nel tentativo di salvare la moglie da due malviventi, rimane gravemente ferito alla testa. Ne seguirà un trauma: l'impossibilità di accumulare ricordi. E da qui il suo scopo di vendicare la morte della compagna nella disperata difficoltà di "ricordarsi di non dimenticare".

Nel 2002 esce Insomnia con Al Pacino e Robin Williams. Film che non mi ha particolarmente colpita. Forse il meno riuscito di Nolan. Un thriller con, certamente, buoni spunti e bei momenti di tensione, ma comunque un film che non mi arriva. E poi Al Pacino non mi è parso del tutto convincente.

Batman begins (2005) è sensazionale. Il più bel batman che abbia mai visto. Bello, convincente, girato benissimo, cupo, dark. Racconta delle origini dell'uomo pipistrello, un sempre più bravo (e bello) Christian Bale, che rende Batman un essere intenso e malinconico.

L'anno dopo esce The Prestige, pellicola sconvolgente con finale inaspettato. Il prestigio, l'illusione, lo spettacolo. Il "solito" Bale con Hugh Jackman, trasportano il telespettatore verso l'ignoto, verso l'inaspettato, per capire che tutto è un trucco...o forse no. Il visionario Nolan riesce sempre a confondere, quasi ingannare con le sue immagini, i giochi di colore, le sue tecniche. A proposito di ciò disse:
« Il regista, ancora più che il romanziere è molto simile ad un mago nel modo in cui scegliamo di rivelare le informazioni, cosa dire al pubblico e quando il punto di vista in cui trasciniamo la platea. Usiamo queste tecniche per ingannare il pubblico, per trascinarlo in vari vicoli ciechi e false piste e via dicendo e infine speriamo, a una conclusione narrativa soddisfacente. » Un genio, insomma!

Il cavaliere oscuro (The Dark Knight) è del 2008. In pratica è il seguito di Batman Begins. Ben fatto, ben interpretato, con la fantastica maschera del Joker, che regala al film un'impronta filosofica. Si, perché il Joker (un meraviglioso Heath Ledger) è il cattivo di Gothan City, che ha quasi l'impronta del grande oratore, sostenitore di inevitabili verità. (Quando l'ho visto ho pensato a V, la maschera di V per vendetta.) Questi cattivi riescono sempre a restare nel cuore!!

Ed ora, anno 2010 di nostra vita esce Inception. Le aspettative sono alte. Ho letto qualcosa ed il film mi puzza già di capolavoro...vedremo!

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