martedì 28 febbraio 2012

Lettera liberamente ispiratami dalla lettura di 'Tenera è la notte' di Fitzgerald



Mio caro Dick, 
in questi giorni misuro la tua assenza contando le pillole che mi hai prescritto. Sei andato fuori per uno dei tuoi tanti viaggi di lavoro. Chissà ora a quale caso psichiatrico ti sottoporrai. E chissà quale altra attricetta di bassa lega ti scoperai. Io comunque sono qua, intrappolata nella mia malattia e nel tuo amore. Ho bisogno di te e così mando giù pillole e tradimenti. I bambini sono in spiaggia a giocare, creano castelli con la sabbia e poi li distruggono. Il sole sta calando, l’aria è più fresca e io sento un dolore in fondo al petto.
Sai, mio caro Dick, non sono così tonta come faccio credere agli altri. Sì, sono pazza, sono isterica e tu mi hai salvata dal baratro, ma so anche che Rosemary ti ha cambiato interiormente. Quella bambina, piccola, immatura ed infantile, ti eccita e ti stimola. Anche tu sei un pervertito. Come mio padre. Ha solo venti anni e la sogni ogni notte nuda su di te. E dentro di me ci sono le lacrime. So anche che per non perderti dovrò accettare questo tuo amore nascosto. Lei, però, è una sciocca attrice, bellissima e luminosa, ma di me non avrà mai né l’oscurità, né il dolore. Ed è il dolore che rende bella e unica una donna. Ed io ne ho da vendere. Dick, alle volte ti odio e allora capisco quanto ti amo e quanto bisogno ho di te.
Stamattina all’alba sono scesa in spiaggia ed ho camminato a lungo. Ho ripensato a noi, alla clinica in Svizzera, al tuo libro, a mia sorella, a mio padre. Alle volte odio tutto, anche i bambini, anche loro frutto di sogni falliti e stupidi. Ma poi prendo le medicine e capisco che non è tutto così male. Tu mi hai salvata, Dick, ma ora mi stai uccidendo. Anche io ho bisogno di un nuovo amore e di sentirmi desiderata. Lo vedo come mi guardano gli uomini, non sarò più giovanissima, ma le mie forme longilinee e le mie rughe nascondono vissuti e momenti importanti. Ieri sera sono andata con Tommy. Lui mi ama, ma questo lo so da tanto. Ora anche io lo amo e presto ci sposeremo. Sono felice per me, ma ho anche un senso di colpa che mi divora.
Dick, tu prima eri il mio centro di vita, mio uomo e medico, mia ancora sicura, ma dopo Rosemary non sei più stato lo stesso. E più tu bevevi, più io mi allontanavo. Più tu l’amavi, più io acquisivo coscienza di me. Ora, non ho più bisogno di te. Anzi ti odio e ti porterò via i bambini. Non voglio più vivere con te, che stai crollando e stai distruggendo tutto. Sono guarita Dick, più ti ammalavi e degeneravi, più pensavo a me e divenivo donna forte e cosciente come non lo sono mai stata. Perché l’altra sera al party ti sei messo così in ridicolo? E perché con Rosemary l’altra mattina al mare ti sei messo così in mostra? Sei vecchio, Dick, vecchio e stupido. Sei malato tu adesso e io che sento nuova vita in me, vado via. Non sono egoista Dick, ma non ti amo più, pur amandoti per sempre. Non avrai più i miei soldi, stavolta dovrai ritornare a scrivere. 
Dick, perdonami se puoi. Sono qui, una donna finalmente consapevole, dopo anni di medicine, lacrime e terapie, mentre tu invece ti fai del male. Forse non ci è dato di essere sereni entrambi, forse non lo saremo mai.
Domani partirò Dick, porterò con me tanti ricordi, frustrazioni, desideri e qualche profumo. Non dimenticarmi Dick, io non lo farò.


Nicole.

venerdì 24 febbraio 2012

Straw dogs - Cani di paglia

di Rod Lurie
con Laz Alonso, Alexander Skarsgård, James Marsden, Kate Bosworth, Willa Holland
Usa
2011

Una giovane coppia di sposi, David ed Amy Summer, si trasferisce nel paesino di nascita di lei. Il marito, sceneggiatore e scrittore, pensa così di poter trovare la giusta concentrazione per terminare il suo lavoro, mentre la moglie, attrice famosa e molto bella, può occuparsi della vecchia casa paterna. Giunti nel paese, che vive di usi e tradizione proprie, i due prendono subito contatto col posto e coi loro abitanti. Amy, conosciuta ed amata si trova più a suo agio in un posto che a David è del tutto estraneo. Non mancano le stranezze e le tensione che David cerca di affrontare con classe e distacco. La coppia incarica quattro vecchi amici di Amy di riparare una parte della loro casa, ma subito iniziano i problemi di relazione. Infatti il gruppo, volgare e aggressivo, importuna Amy e prende in giro David, che stremato li licenzia. Dopo una serie di tragiche vicende, David si ritroverà a difendere la propria vita, quella di sua moglie e la sua proprietà con le unghie e con i denti, tirando fuori il suo lato più forte, violento e criminale, che mai ci saremmo aspettati di vedere ad inizio pellicola. 
Cani di paglia remake dell'omonimo film di Sam Peckinpah del 1971, mostra i due lati dell'essere umano. La psicologia di David è infatti il fulcro della vicenda, perché è lui che dovrà cambiare il suo modo di vivere per tutelarsi. E' David che per sopravvivere all'umana cattiveria e violenza, dovrà diventare un cattivo e difendersi a tutti i costi. E' un film sulla violenza e sulla duplicità dell'uomo. Non sul doppio in stretto senso dostoevskiano, perché David non vive dentro di sé una duplicità, ma una volta annusato il pericolo, egli è costretto a cambiare comportamento. Anche lui diviene aggressivo, spietato. Ecco allora la doppiezza, inconsapevole e indispensabile. L'uomo in verità è un essere animalesco che posto dinanzi alla morte, reagisce di conseguenza. Macchiandosi di sangue se necessario. La sopravvivenza, tipica degli animale, ma insita in tutte le vicende umane, è il motore del vivere quotidiano, è il bisogno per il quale si combatte e si spera. 
Il gruppo di operai aggressivi e rozzi rappresentano il branco, quello che semina soprusi e si fa forte dell'unione. Rappresenta il male, che, citando il poeta Wystan Hugh Auden, "non è mai straordinario ed è sempre umano". Sono bestie chiuse in una cittadina che approva ciò che fanno. Ecco anche il male dei piccoli luoghi dove il confronto è nullo. Dove non arriva cultura e l'uomo è ridotto a essere un animale parlante.
Un film interessante, dunque, per la tematica, senza lode e senza vergogna, che merita una visione. Da recuperare l'originale.

lunedì 13 febbraio 2012

Albert Nobbs

di Rodrigo Garcia
con Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Jonathan Rhys Meyers, Brendan Gleeson, Janet McTeer
Irlanda 
2011




Albert Nobbs è un cameriere preciso, impeccabile e riservato. Svolge da trent’anni la sua mansione, facendo una vita ritirata e piena di rinunce. Ha il grande sogno di aprire una sua attività e per questo risparmia ogni singola sterlina. Albert Nobbs è tutto questo, ma molto altro. Egli nasconde un importante segreto: è una donna, la quale per poter lavorare e vivere nella sua epoca si ritrova a fingersi uomo e lo resterà per tutta la vita. Siamo nell’Irlanda del diciannovesimo secolo e forse essere uomo permette di avere una vita meno complicata. Quando nell’albergo nel quale lavora arriva un imbianchino, molte cose cambieranno. Albert avrà finalmente l’occasione di aprirsi a qualcun altro, di confidarsi ed iniziare a fare qualche progetto speciale.
Ripreso da una pièce teatrale, presentata nel 1982 e interpretata sempre da Glenn Close, Albert Nobbs arriva finalmente nelle sale dopo una lunga gestazione. Ne viene fuori un film ricco di spunti di riflessione. Molte le tematiche toccate, la più importante quella della ricerca della propria identità fisica. Albert è una donna che per trent’anni indossa una maschera che finisce per divenire la sua stessa natura. Isolata in se stessa, chiusa dentro un silenzio e un dolore insopportabile. Ed ecco anche il punto debole della pellicola che pur trattando il tema della personalità e della natura umana, manca di tracciarne un carattere più intimo e psicologico al personaggio. Molte le domande che assillano lo spettatore a fine pellicola: Albert è una donna che soffre nel proprio corpo e che vorrebbe veramente essere uomo o è una donna che recita una parte, ma in verità vorrebbe esprimere tutta la sua femminilità? Albert sogna di sposarsi per ottemperare ai bisogni della società che impongono un matrimonio per essere ben visti o è realmente innamorato? Tematiche toccate, ma non approfondite lasciano al film un senso di provvisorietà, che se invece fossero state analizzate, sarebbe risultato molto più interessante. Invece il regista Rodrigo Garcia preferisce raccontare la storia più da un punto di vista storico, mettendo in luce le differenze tra i ricchi e la servitù.
Nel 1800 essere donna era difficile e, spesso, doloroso. Le cameriere, trattate come oggetti, erano alla mercé dei loro padroni viscidi e opportunisti. Epoca difficile dove il denaro era la prima forma di autenticità. Così Albert, senza genitori o parenti, decide di fingere di essere un uomo per assicurarsi almeno un briciolo di dignità.
A riempire la pellicola è una immensa Glenn Close, giustamente candidata all’Oscar, che interpreta in modo convincente Albert. Occupatasi anche della sceneggiatura, riesce a trasmettere il vuoto che sente dentro di sé. Non stupirebbe affatto se riuscisse anche a vincere. Altra candidatura all’Oscar, stavolta però come attrice non protagonista, è toccata a Janet McTeer che interpreta Hubert Page, l’amico e confidente di Albert.
Insomma un film che aveva tutti gli elementi per venire fuori splendidamente, ma che ha preferito non decollare e rimanere in superficie mancando di quel carattere psicologico ed interiore che sarebbe stato l’elemento chiave e di svolta di tutta la storia.


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Pubblicato su: Cinema4stelle

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