domenica 27 marzo 2011

Last night

di Massy Tadjedin, con Keira Knightley, Sam Worthington, Eva Mendes, Guillaume Canet, Usa, Francia, 2010.
Una giovane coppia di sposi Michael e Joanna, formata da Keira Knightley e Sam Worthington, vive la propria quotidianità. Joanna sospetta che il marito abbia una storia con una sua collega, Laura, e dopo aver litigato mette da parte la paura. Il giorno dopo Michael parte per lavoro a Philadelphia insieme a Laura. Il caso vuole che anche Joanna quel mattino incontri una sua affascinante e vecchia fiamma, Alex, e la notte seguente, quindi, entrambi i coniugi si ritroveranno a vivere una appassionante notte: istantaneamente in due città diverse con due partner diversi. Chi dei due cadrà in tentazione? Chi tradirà chi? Tradire è solo tradire col corpo o essere coinvolti mentalmente è anche un po' ingannare l'altro? Ha senso privarsi di una passione che si desidera per non offendere l'altro?
Last night è un film con due lati. Se fosse per l'accoppiata Knightley/Canet, cioè Joanna e Alex la pellicola non sarebbe male, anzi ci sarebbero notevoli punti d'analisi e di interesse. I due recitano benissimo, efficaci ed intensi, Keira in primis. La storia tra i due è coinvolgente, sensuale, fatta di sguardi e ammiccamenti che lasciano allo spettatore fare il resto. E se si approfondisse il loro legame, i loro turbamenti, limiti, ossessione, ma anche la loro inevitabile passione il film sarebbe perfetto. A 'sporcare' l'atmosfera(e anche il film)  travolgente della notte newyorkese è la coppia che a Philadelphia non riesce a trasmettere un filino di interesse e pathos. Due 'anime morte', due attori tristi e pessimi, del tutto inespressivi e passivi, una storia senza vigore, dei dialogi che rasentano il ridicolo ("Io non dormo mai. Ora che ho dormito un'ora mi sembra di avere dormito 100 anni" O_O'). Ok, la storia in questione si basa più sul carnale ed è meno emotiva rispetto all'altra, la quale è invasa da un precedente vissuto, ma si può dire comunque tantissimo. Solo non sanno come fare, perché per trasmettere tensione sessuale e movimenti del corpo ci vuole maestria. La scena in piscina è di un imbarazzo mostruoso (per noi spettatori, intendo) e loro sono passionali come un termosifone.
Ogni volta che, finalmente, si passa ad Alex e Joanna l'attenzione cresce, per un modo di fare sicuramente diverso. Due anime che si incontrano per dirsi ciò che non si sono detti mai, per confessare paure e timori, per fare i conti con una realtà ormai non più consona alle loro vite. Tra vino, musica, sorrisi,silenzi, movimenti, Keira è bellissima e convincente, Canet ha fascino, è romantico e schivo. La loro è una storia fine e sofisticata, che suscita curiosità in questa ultima notte di amore e follia.

2,5/5 (Se fosse stato per Worthington/Mendes: 0/5)



Non c'è veramente storia.
Che sguardi fulgidi ed eleganti....ahhahahahaha!! O_o


sabato 26 marzo 2011

Uccellacci e uccellini

di Pier Paolo Pasolini, con Totò, Ninetto Davoli, Roma, 1966.





"Non ho mai "messo al mondo" un film così disarmato, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico; è fondamentalmente il surrealismo delle favole [...]  

Questo film che voleva essere concepito e eseguito con leggerezza, sotto il segno dell'Aria del Perdono del "Flauto Magico", è dovuto in realtà a uno stato d'animo profondamente malinconico, per cui non potevo credere al comico della realtà (a una comicità sostantivale, oggettiva).  
L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango...").
Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore.  

Totò e Ninetto rappresentano invece gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia, che stanno acquisendo il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il marxismo nelle sembianze del corvo.  
La presenza di Totò e Ninetto in questo film è il frutto di una scelta precisa motivata da un'altrettanto precisa posizione nell'ambito del rapporto tra personaggio e attore.
Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così "brava persona", avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi."
(fonte www.pasolini.net)
                                                                                                          
                                                                                                           Pier Paolo Pasolini

5/5



mercoledì 23 marzo 2011

Orgoglio e pregiudizio - Jane Austen


Ho sempre amato la letteratura inglese, ma l'avevo dimenticato. Era da un po' che avevo deciso di leggere Orgoglio e pregiudizio e finalmente ho deciso di prenderlo in mano. E' stata una rivoluzione e allo stesso tempo un piacere silenzioso e costante. Jane Austen è una penna raffinata e delicata, la sua storia è appassionante e decisa, mai scandalosa o dolente. Mi è piaciuto immergermi totalmente nel mondo di Elizabeth ed ho amato piano piano tutti i personaggi austeniani. Leggendo ho avuto l'impressione di essere nel suo mondo, di vederne i contorni, di assaggiarne gli odori. Deve essere stupenda la campagna inglese! E che gusto per il romanticismo! Affascinante la storia tra il Signor Darcy ed Lizzy, trattata con tatto e leggiadria. La Austen crea un teatro con tutti i personaggi più particolare, ne fa analisi psicologiche e caratteriali, allestendo un vero e proprio circolo di vite umane. E' imprevedibile e  accattivante. Intelligente ed efficace. Una vera e propria dama dell'Ottocento.

5/5



E poi, da buona cinefila, avevo già pronto il film. Quello di Joe Wright, con Keira Knightley, Matthew Mcfadyen, Rosamund Pike, Rupert Friend, oltre ad una giovanissima e frivola Carey Mulligan. Inutile negare che il mio animo romantico sia stato sopraffatto e totalmente conquistato. Tutte noi donzelle abbiamo finito per essere innamorate del signor Darcy, come delle adolescenti. Il film mi è piaciuto per i colori e la fotografia. Deliziose le campagne inglese (un viaggetto non lo vedo male!^^). Un film chiaramente ha dei limiti temporali che un libro non ha. Molte cose mancano e molti collegamenti saltano rispetto al libro, che è pieno di minuzie e vari intrecci, difficili da portare tutti sullo schermo. Comunque il film è romantico ed è una squisita commedia all'inglese.

3/5

Ho pronto sul comodino Ragione e Sentimento e sono alla caccia di tutti i titoli ambientati nell'Ottocento (film & libri). Ma quante trasposizioni cinematografiche hanno avute le opere della Austen??? Veramente tante!!
Vabbè per non rincretinire del tutto, ora però leggo Non è un paese per vecchi. Ogni tanto è necessaria anche la violenza... e McCarthy ne sa qualcosa!


venerdì 18 marzo 2011

Il discorso del re

(The King's Speech) di Tom Hooper, con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Regno Unito, Australia, 2010.

Mentre in tutto il mondo divampa la Seconda Guerra Mondiale, mentre Hitler predica la superiorità della razza ariana, portando all'uccisione di milioni di ebrei, mentre l'Inghilterra si prepara ad entrare in guerra, Re Giorgio VI d'Inghilterra (al secolo Bertie) è totalmente preso ed assorto dal discorso che dovrà tenere alla sua Nazione. Ok, è balbuziente e la cosa gli procura non pochi problemi, ma la sua preoccupazione è a dir poco esasperante.
Bertie ha difficoltà a confrontarsi con gli altri, balbetta, ha paura, è un uomo che ha subito frustrazioni da bambino, per questo ora preferisce rimanere all'ombra. La moglie cercherà di aiutarlo e lo condurrà dall'eccentrico logopedista Lionel Logue (Geoffrey Rush), col quale instaurerà, dopo un inizio burrascoso, un rapporto profondo ed emozionante. Insomma le due ore scorrono tranquille e 'tesissime' per capire se Bertie riuscirà a fare il suo discorso alla radio senza cadute pessime.                                                             Sarà che sono partita prevenuta perché questo film ha vinto l'Oscar rispetto al mio amatissimo Il cigno nero,  ma non mi ha trasmesso alcunché. Sarà carina la storia, ma a tratti è noiosa e non era assolutamente da Oscar. Vedere poi il Re Giorgio VI interessarsi unicamente al suo discorsetto strappalacrime invece di pensare ad una guerra imminente, m'ha toccato il sistema nervoso. Concordo pienamente con chi sostiene che sia un 'film furbetto e ruffiano'. Colin Firth (premiato a sua volta) non mi ha colpita particolarmente (sarà che lo ricordo in maglioncino con la renna sopra a cena con Bridget Jones). Errore disumano è stato, di certo, guardarlo doppiato, perché così ho perso tutta l'interpretazione di Firth che balbettava.
Nota positiva è sicuramente la fotografia. Mi sono piaciute tantissimo le inquadrature, spesso fuori prospettiva, alle volte disorganiche e quindi bellissime.
Geoffrey Rush, poi, ci ha regalato i momenti più interessanti e particolari di tutta la pellicola. Un vero e proprio genio, dapprima incompreso, il quale attraverso i suoi metodi stravaganti e originali riuscirà a dimostrare tutta la sua bravura. Per me è lui il vero protagonista.

2/5

Frase cult: mia sorella che a fine film esclama: "Ma che film è?!!".

mercoledì 16 marzo 2011

La versione di Barney - Mordecai Richler



Finalmente ho letto 'La versione di Barney'. Lo ammetto, ho comprato il libro perché volevo leggerlo prima di vedere il film. E lo ammetto, voglio vedere il film perché c'è Paul Giamatti, che adoro e che dopo Sideways - In viaggio con Jack è entrato nella mia rosa di attori preferiti. Provo una strana attrazione nei suoi riguardi, lo trovo affascinante e superbo, benché non sia oggettivamente un figo. Sapere che lui interpretava Barney, ha distorto un po' il mio approccio iniziale alla lettura, perché sin dal primo rigo ho immaginato Barney con la faccia di Giamatti. Magari mi è risultato più interessante. 
Il libro mi è piaciuto, anche se mi aspettavo molto di più, ma nel complesso non è male. Racconta la storia di Barney Panofsky e della sua vita assolutamente dissoluta, tra soldi, donne, alcool, molto alcool. Barney è un uomo schietto e tra un sorso e l'altro racconta storie e avventure. Alcune interessanti, altre meno. Tre mogli, un solo amore: Miriam. E tre figli. 
Barney con sagacità letterale risulta irriverente e simpatico. Fuori posto, fuori luogo, assolutamente non a modo, pazzoide, irriverente, impertinente, cinico. Un nuovo Bukowski. I dialoghi sono fortemente ironici e riflettono la personalità inaffidabile di Barney: un fottuto egoista, che finisci per trovare simpatico. Barney per quanto sia e faccia spesso il bastardo, è un uomo fragile e pieno di paure, che si lascia andare troppo agli eventi della vita, che indossa una maschera per affrontare la quotidianità. Sposa due donne sbagliate, la terza, quella che veramente ama, riesce a deluderla e a farla scappar via. E' un uomo la cui interiorità spetta al lettore coglierla ed analizzarla. Lui, semplicemente, racconta la sua licenziosa vita, accusando spesso se stesso. Quotidianamente ubriaco, il whisky è il suo miglior compagno di viaggio e un Montecristo è il miglior modo per rifletterci su... Perché alla fine Barney è anche un romantico!

"Allora lasci che le dica una cosa. Non sono mai andato d'accordo con sciamani, stregoni o psichiatri. Della condizione umana hanno capito molto più Shakespeare, Tolstoj o persino Dickens di chiunque voi. Siete una banda di ciarlatani sopravvalutata, che si ferma alla grammatica dei problemi umani, mentre gli scrittori che le ho nominato badano all'essenza. E non mi piacciono le etichette vacue che appiccicate alla gente, né le parcelle che chiedete per le perizie di parte. [...] Voi giocate con la testa delle persone, e siete inutili, se non dannosi. Inoltre, stando a quanto ho letto di recente, avete abbandonato il lettino per i farmaci, come del resto anche il mio amico Morty. Paranoia? Prenda questo due volte al dì. Schizofrenia? Sciolga questo in bocca prima dei pasti. Io prendo un whisky al malto e un Montecristo per tutto, e le consiglio di fare altrettanto. Fanno duecento dollari, grazie."

3/5
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