giovedì 23 maggio 2013

Only God forgives- Solo Dio perdona

di Nicolas Winding Refn
con Ryan Gosling, Kristin Scott Thomas, Vithaya Pansringarm, Gordon Brown, Tom Burke, Sahajak Boonthanakit
Danimarca, Francia 2013



Dopo l’ottimo Drive, Refn ritorna con un dramma amletico che seppur ha qualche nota in comune con Drive (le inquadrature, la lentezza e le musiche) si differenzia per la storia e per il modo stesso di raccontare.
Bangkok. Julian gestisce un club di pugilato, in realtà copertura per il traffico di droga. Quando il fratello maggiore Billy violenta ed uccide una prostituta verrà chiamato un poliziotto che ha una personale visione della giustizia. Un angelo della Vendetta che si chiama Chang. Farà uccidere Billy ed inizierà così un vortice di sangue tra la madre di Billy, Crystal, una eccezionale Kristin Scott Thomas,  che ha come unico obiettivo quello di vendicare il figlio maggiore nonostante il suo delitto, il poliziotto e Julien. Refn gira questo film in Thailandia ripercorrendo i temi asiatici del combattimento. Qui sangue, violenza, tortura, vendetta si consumano in un crescendo dai ritmi forti, ma sempre molto intimo e personale. Non è semplicemente la violenza esteriore quella descritta, ossia morti ammazzati, corpi torturati e sangue, ma quella interiore, quella che ti rimane più radicata. Quella di Julian, che vive un rapporto conflittuale con la madre, una donna matrona, volgare, primo membro della sua famiglia criminale che mette in competizione i due fratelli. Un complesso edipico, ancora da sciogliere che Julien vive nella sua mente, nel suo cuore senza mai proferire una parola ma accettando i limiti di un rapporto malato. Julian, taciturno, trasmette conflittualità, una rabbia implosa, verso una madre che non ha alcuno slancio, disgraziata e bloccata nella sua banalità, ma dentro Julian urla. I suoi pugni serrati, le sue mani che si sporcano di sangue, il non riuscire a stare con una donna, la voglia di ritornare nel ventre materno per ripartire da zero, fino alla scena finale, simbolicamente perfetta.
Chang, angelo della Morte e della Vendetta, rappresenta Dio, colui che può decidere sulla vita e sulla morte degli uomini, colui che vendica una prostituta perché è così che deve andare. Lui, esperto torturatore e ottimo combattente, non ha paura, affronta i peccatori e si macchia egli stesso di delitti perché è necessario. Solo Dio perdona, perché gli uomini non riescono a farlo.
Un film complesso, a tratti forse anche confuso, che fa giri strani, allontanandosi talvolta dal significato, ma che lo sottintende e lo ritrovi in una scena, un simbolo. Non è una storia raccontata, ma è una storia immaginata, vista per sequenze, contorta, ma efficace.
Le inquadrature sono degne di Refn: compiute per ricostruire i drammi interiori, claustrofobiche in ogni momento, esteticamente potenti dove il colore predominante è il rosso, fiammeggiante, opaco come il fuoco, come il sangue, il rosso della rabbia, della paura e della vendetta. Dedicato in chiusura a Jodorowsky, sembra più una spiegazione che una dedica, per le immagini surrealiste, introspettive e visionarie che Refn ci regala per raccontare le tragedie dell’anima.
Insomma un film da rivedere, da riconsiderare per la sua forza simbolica e poco narrativa, ma dirompente come solo la violenza riesce a fare.

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Pubblicato su: Cinema4stelle

martedì 14 maggio 2013

Amaro amore

di Francesco Henderson Pepe
con Ángela Molina, Yorgo Voyagis, Malik Zidi, Lavinia Longhi, Francesco Casisa, Aylin Prandi, Piero Nicosia, Maylin Aguirre
Italia 
2010 (uscita 2013)





André e Camille, fratello e sorella sono due giovani francesi che decidono di trascorrere le loro vacanze estive a Salina, magnifica isola delle Eolie, dove la loro madre precedentemente aveva vissuto. Durante il loro soggiorno conoscono Santino, altro ragazzo del posto che vive e lavora di ciò che l’isola riesce ad offrire. Tra i tre inizia un rapporto particolare e profondo che li porterà a nuove scoperte interiori, ad analisi personali e intime.
Protagonista di quest’opera prima di Francesco Henderson Pepe, è senza dubbio Salina, sua terra adottiva e immagine dell’anima dei protagonisti. Salina, coi suoi racconti, le sue leggende, i suoi fantasmi e le dicerie che caratterizzano i luoghi piccoli e legati alle tradizioni. Santino è il tipico abitante del suo posto e ne vive tutte le sfaccettature: maschilista, chiuso, legato al padre morto e ne ricrea l’immagine impedendo alla madre di rifarsi una vita. Non accetta l’altro, il diverso perché in fondo non accetta se stesso. L’incontro però con i due giovani ragazzi francesi significa l’urto con un modo nuovo di vedere le cose, con un’apertura mentale, fisica e morale che non gli appartengono, mettendo a nudo la sua interiorità e con conseguenze non solo su sé, ma sull’isola stessa. Dunque un viaggio interiore di scoperta dei tre ragazzi, così diversi tra di loro, che li farà approdare al mondo degli adulti non senza lasciare cicatrici.
Amaro amore è un film sull’amore, verso se stessi, verso la propria terra, verso gli altri. Ma è un amore dai tratti amari e acidi perché spesso i sentimenti non sono così puri. E’ però un film che per quanto pone chiare le proprie tematiche, non riesce a scavare dentro i personaggi con vere analisi psicologiche. Sembra fermarsi in superficie senza andare oltre, ma rimanendo ad un livello esterno senza riuscire a conquistare lo spettatore che per certi momenti neanche capisce alcune pretese. Per esempio si manterrà il mistero su un segreto fino agli ultimi minuti del film quando lo spettatore è quasi stanco di non vederci chiaro e ormai ha intuito da sé, sfinito, il senso del mistero. E’ un film che non scavando all’interno non arriva da nessuna parte anche perché si gioca tutto sul terreno del ‘non-detto’. Non basta però l’intuizione, i dialoghi sono scevri di profondità e i personaggi poco intensi. Bellissime sicuramente le immagini paesaggistiche dell’isola, dove mare, terra e cielo si incontrano in un punto meraviglioso, ma non basta.

1,5/5

giovedì 9 maggio 2013

Anna Karenina

di Joe Wright
con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Taylor-Johnson, Kelly Macdonald, Matthew Macfadyen
Gran Bretagna 2012




Inizio premettendo di non aver letto questo libro di Lev Tolstoj (anche se fa parte di una lista che sospetto non basterà mai questa vita per finirla), ma credo che un po' tutti conosciamo, anche per 'sentito dire', la storia di Anna Karenina. Per chi invece non la conoscesse credo che i film servano anche ad insegnare e a far conoscere qualcosa che per tempo, pigrizia o gusti diversi non conosciamo. Soprattutto quando si parla di classici mondiali. E Tolstoj fa parte di questa cerchia per me ristretta e particolarissima.
Joe Wright è riuscito a mettere in scena un libro per nulla semplice, sia per questione di tempo perché trasporre in pellicola un libro di 1200 pagine non è cosa facile, sia per i turbamenti interiori di Anna, donna difficile e complessa, la cui interiorità è difficile da trasmettere. In più vi è tutto un mondo, quello russo dell'Ottocento, controverso, particolare intorno al quale ruotano vari personaggi e varie psicologie.
Ciò che amo degli autori russi è proprio questo: tutta la mole interiore, sociologica, sociale, religiosa, umana che riescono a intrecciare con vicende personali e apparentemente semplici.
Wright, secondo me, ha fatto di più: consapevole della difficoltà strutturale del classico in oggetto, ha deciso di mettere in bella vista le problematiche alle quali andava incontro e ne ha fatto la sua forza. Tutta la teatralità inscenata come se stessimo assistendo ad uno spettacolo in teatro è brillante, così come gli espedienti utilizzati per cambiare ogni volta scena e per mettere in evidenza il tempo che trascorreva. Il modo spazio temporale in cui si muovono i personaggi, i loro gesti, la loro eleganza sono impeccabili. La forma è espressa alla sua massima potenza, una forma che intrecciandosi con la sostanza (che sembra esserne penalizzata, ma che invece esplode più vigorosa che mai) fa venire fuori tutti gli affanni di un cuore infelice e buio, di una donna che sceglie, libera e sola in una società che la condanna. E tutti i suoi stati d'animo, ma non solo i suoi, sono messi in scena attraverso gli oggetti, i colori e i suoni, non solo spiegati da Anna/Keira. Sono rimasta completamente catturata e strabiliata da così tanta consapevolezza cinematoriale del regista. Un film di classe, girato con gusto, spettacolare e paralizzante soprattutto per la sua sfera estetica.
Mi duole dirlo, ma una nota stonata però l'ho percepita per tutta la durata del film: Keira Knightley. Non so, sembrava di vederla ancora in A dangerous Method o semplicemente non posso ancora riprendermi dalla sua interpretazione nel film di Cronenberg, non me ne vogliate. Cioè sicuramente impeccabile e bellissima, ma qualcosa non me l'ha fatta amare completamente, a differenza di un Jude Law nuovo in un ruolo glaciale e vigoroso. Sarà quel modo di fare la disperata con la mascella serrata, ma in quelle scene non l'ho trovata particolarmente intensa come volevo. Ma è solo una piccola annotazione alla fine superabile nel suo complesso. Nota di grande merito invece a Dario Marianelli, apprezzato compositore italiano e perfetto nelle musiche che accompagnano mirabilmente lo scorrere delle vicende narrate.

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mercoledì 8 maggio 2013

20 anni di meno

di David Moreau
con Virginie Efira, Pierre Niney, Giles Cohen, Amélie Glenn, Charles Berling
Francia, 2013



Prendete una normale commedia americana, di quelle romantiche e leggere con il suo inizio, svolgimento con annesso malinteso, soluzione del dilemma e fine, impegnateci due attori francesi belli e promettenti (soprattutto lui con i suoi occhioni da cerbiatto), fate ambientare la dolce storia a Parigi, città perfetta per certe storie romantiche e voilà: eccovi ‘20 anni di meno’.
David Moreau per il suo primo film decide di dedicarsi ad una commedia divertente e fresca che ha però tutti i temi del già visto. Alice, quarantenne in carriera, separata e con una figlia, donna rigida e poco incline al divertimento incontra Balthazar, ventenne studente di architettura bello, impacciato e tenero, in un volo che dal Brasile li porta a Parigi. I due iniziano una relazione, anche se Alice lo fa semplicemente per risultare più ‘ribelle’ (nome della rivista di moda per la quale lavora) agli occhi del suo capo ed ottenere così una promozione. Da qui il fraintendimento con l’inganno, poi il disvelarsi dell’intreccio, la rabbia di lui fino ad arrivare ad un finale scontato e per nulla particolare anche se carino e dolce. Dunque sono presenti tutti gli ingredienti di una commedia d’amore già più volte vista, il tema dell’amore tra una donna di vent’anni più grande, il tanto ormai osannato toy boy che va sempre più di moda, il tentativo di ribaltare pregiudizi e incoerenze sociali, ma anche il mondo glamour che viene fuori perché Alice lavora in una rivista di moda e alle volte sembra di vedere Il diavolo veste Prada per certe scene e situazioni.
Il tutto però girato ‘alla francese’, elegante, delicato e raffinato, con qualche momento ilare di battute simpatiche, in un film che non decolla mai che si lascia guardare con divertimento e spensieratezza senza pretesa alcuna. Sono presenti inoltre i soliti cliché femminili, come Alice inacidita perché single, come la sorella di lei che vuole per forza accasarla o i pregiudizi di colleghi invidiosi e meschini. Parigi, incantevole e unica nota nuova in tutto il contesto, è protagonista indiscussa perché rappresenta quel modo di vivere diverso e più europeo rispetto ad altre simili pellicole: le mostre d’arte, i giri in motorino lungo la Senna, le panchine dove ascoltare un ipod.
Insomma un film piacevole, simpatico senza particolare complessità o analisi interiore che si lascia guardare in questo inizio d’estate.

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