venerdì 20 settembre 2013

Child of God (Figlio di Dio)


Con l'arrivo nelle sale del film Child of God con alla regia James Franco ripreso dal libro del tanto amato Cormac McCarthy (Einaudi Editore), ho deciso di cimentarmi nella lettura prima della visione filmica.
Da queste parti McCarthy è un autore molto apprezzato e seguito. Scoperto grazie a The Road, ho proseguito con Non è un paese per vecchi, ma è con Cavalli selvaggi che ho definitivamente e indissolubilmente capito che quest'autore è uno di quelli che porterò per sempre nella mia vita.
Ho letto da qualche parte che  Figlio di Dio è ritenuto un libro minore nella bibliografia di McCarthy. Non credo proprio che sia così. Forse questo è il libro più duro, dall'impatto molto forte, privo di smancerie e sbavature. Difficilmente permeabile e di certo enigmatico.  Come alle volte è la vita.
Cormac è il narratore, voce descrittiva e lontana, lungi dal fare teorie o dall'esprimere giudizi. Non accusa né giudica. Narra, nel suo perfetto modo di raccontare. Descrive di Lester Ballard che vive in una piccola comunità nella Contea di Servier, Tennessee. Ballard è un povero diavolo, un animale randagio che vive di espedienti, rubando e uccidendo senza un apparente e razionale motivo. Ballard è un derelitto, inutile e negativo, ma Ballard è comunque un Figlio di Dio, come sin dalle prime pagine l'autore tiene a precisare:

"Sulla porta del granaio, un uomo guarda tutto ciò scaturire da un mattino bucolico e per il resto completamente muto. È piccolo, sporco, con la barba lunga. Si muove con impacciata ferocia tra la paglia secca, in mezzo alla polvere e alle strisce di luce. Sangue di sassoni e celti nelle sue vene. Nient'altro che un figlio di Dio come voi, forse".

E' un parassita umano che sopravvive senza alcun aiuto, denigrato, allontanato ed emarginato. Girovaga tra i boschi, uccide e stupra i corpi delle donne esanime, sussurrandole parole che a nessuno è dato sapere. Vive come un animale, trascorre un intero e gelido inverno in una grotta, mangia ciò che trova, dorme su un materasso zuppo di neve. Pazzo e violento non conosce altro modo di vivere che questo, non sa amare se non praticando necrofilia. Nella sua follia, egli si prende anche cura delle sue vittime, in un modo infantile come se fossero giocattoli, curandole e a modo suo amandole. Tuttavia, nonostante il disgusto e la ripugnanza che si prova, occorre ricordare che è un figlio di Dio, come tutti. In fondo che differenza c'è tra lui e un padre che violenta le figlie o tra lui e i Cappucci Bianchi e i Bluebills (gruppi sanguinari che avevano colpito con la loro violenza quelle zone)? McCarthy non a caso descrive di altre vite che si dedicano, consapevolmente o no, al male. Lo fa per umanizzare Ballard, che altrimenti resterebbe solo un pazzo e freddo omicida. Al lettore non resta che farsi la propria idea.
Una scrittura asciutta, senza fronzoli o dispersioni, una perfetta analisi dell'animo umano, delle sue sfumature e dei suoi capricci oltre che le sempre suggestive descrizioni dei paesaggi intorno, quelle alle quali il buon vecchio McCarthy ha abituato ormai tutti i suoi lettori.
E' un libro profondo, con una prosa talmente raffinata che diviene imponente, un testo che rimane dentro e ti scava anche un po'. Forte e crudo, amaro e vero.
Alla fine te lo immagini Ballard che corre nei boschi indossando i vestiti da donna delle sue vittime, il rossetto rosso sulle labbra, il fucile in spalla, lui così smunto e cattivo. E quegli occhi rossi come il Diavolo.
Ballard è il Male, ma che cos'è poi il Bene?

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