martedì 11 dicembre 2012

Moonrise Kingdom - Una fuga d'amore

di Wes Anderson
con  Bruce Willis, Edward Norton, Bill Murray, Frances McDormand, Tilda Swinton
USA, 2012



Certi registi hanno la capacità di fare amare il cinema anche a chi il cinema non interessa e anche solo da un trailer. Se mi chiedessero di descrivere Wes Anderson, direi questo. Perché è colorato, vintage e usa musica da Dio. Sono sempre stata convinta che quando si legge o si guarda qualcosa, ci siano sempre due (o più) livelli interpretativi. Ecco, con Anderson bisogna andare sempre oltre un gesto, un’immagine, una fotografia. E’ che lui sta cercando di dirti altro e tu devi capirlo. Prendiamo Il treno per il Darjeeling (per me il suo Capolavoro): il viaggio come ricerca di se stessi e delle proprie radici attraverso luoghi, persone, odori nuovi e undici valigie come metafora dei pesi che quotidianamente ci portiamo dietro. E il cortometraggio Hotel Chevalier? Un inno amoroso.
Il suo ultimo film è un altro pezzo miliare del genere: Moonrise Kingdom è pura poesia. Una fuga d’amore di due dodicenni soli, un po’ tristi e tanto decisi. Lei è una Margot Tenenbaum (I Tenenbaum altro film meraviglioso) in miniatura, Suzy e lui, Sam, un orfano ingegnoso e romantico. Come sempre i personaggi sono tutti macchiette in presa agli spasimi del vivere quotidiano, con i loro conflitti e i loro tormenti. 
Moonrise Kingdom è una storia sulla vita, sulla paura e il timore di vivere, sui rapporti complicati che abbiamo intorno a noi. Suzy vive in una casa dorata, una casa delle bambole e guarda il mondo attraverso un binocolo perché “così le cose appaiono più vicine”, odia i genitori, anche loro con una storia strana da gestire, entrambi avvocati e piuttosto presi da se stessi, e non ha amici. Decide di scappare con Sam, un boyscout intelligente che vive la condizione di orfano in modo dignitoso e che sceglie Suzy come il più romantico degli uomini. Una fuga che è metafora della ricerca di un proprio posto nel mondo. Scappare per ritrovarsi, conoscersi per amarsi. E il regista descrive tutto ciò attraverso lo sguardo semplice, ma mai banale, dei bambini, senza malizia e senza sporcare le immagini. Tutto è reso magico da quel modo elegante e particolare di narrare tipico di Wes. Da quell’unione di oggetti che creano un’immagine perfetta. Da quel modo semplice di fare del protagonista che diventa subito storia, come Sam che dipinge o Suzy che legge. 
La fotografia è mozzafiato, i dialoghi brillanti e la musica sempre in grande stile. 

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